Come ho già detto e scritto, i miei pezzi sul quotidiano Il Giornale (non tutti, sfortunatamente, ma buona parte) si possono leggere qui (http://www.ilgiornale.it/autore/simonetta-caminiti.html) e qui (http://www.ilgiornale.it/autore/fiammetta-cortese-50052.html). Nei mesi trascorsi alla redazione milanese del Giornale, la mia seconda firma è stata Fiammetta Cortese.
Cortese è il cognome di mia madre; Fiammetta è come mi sarei chiamata se Simonetta Cattaneo, tutta pallida, divina, cosparsa delle sue chiome biondissime, non avesse illuminato all’improvviso mia madre e mio padre.
Oggi ripropongo qualche mio pezzo scritto quest’inverno a Milano. Il mio incontro con le suore di clausura a tre giorni da Natale (“Resti sempre così, signorina: col cuore alto”, il frammento più bello di quell’incontro); una piccola inchiesta sulle scale mobili guaste della città più civile e proiettata nell’Europa migliore che io abbia mai visto (Milano), in cui abbia mai vissuto. Eppure, gli ascensori delle metropolitane sono davvero guasti da anni. Li ho visti, fotografati, fatti commentare. Il giorno dopo, la promessa di pronto intervento da parte del sindaco Pisapia. (E speriamo in bene).
Poi c’è un pezzo che, nonostante il freddo gelido, mi sono divertita molto a scrivere. I saldi alla Vigilia dell’Epifania nello sfavillante Quadrilatero della moda.
E poi, ancora, sempre occupandomi della cronaca di strada, un servizio su una scuola “incerottata” come un reduce di guerra, a ridosso di Natale. Una roggia sotterranea aveva dato segni di cedimento. Il marito di un’insegnante mi segnalò la situazione.
Le monache di clausura: «Sarà un giorno di meditazione». La vigilia diversa delle clarisse milanesi
C’è Natale e Natale. Nei monasteri di clausura di Milano (la città ne custodisce ben quattordici), il Natale è «una centrale elettrica di preghiera per il mondo». In via Santa Sofia, al Monastero della Visitazione, uno dei primi argomenti con le suore che ci aprono i cancelli è la sorpresa sotto l’albero di Papa Ratzinger: la sua iscrizione a Twitter. «Suit? Davvero? E cos’è?». Twitter, non suit. Un mondo intero chiuso in una bolla di silenzio: un po’ come questo, ma di tutt’altra specie. Ma le suore di clausura visitandine nel cuore di Milano non ne hanno la più pallida idea. «Mi spiace ma noi non utilizziamo questi mezzi moderni». Questo luogo ha trecento anni. Sono due le tuniche sedute dietro una grata. Il loro sarà un Natale di preghiera, di «meditazione, e ciascuna medita in modo personalissimo». Ma la Madre Superiora dà una sorta di traccia da seguire nelle preghiere. Il 25 dicembre si penserà alle vittime della strage nel Connecticut, per esempio. E il pranzo? «Un risotto, forse una pasta in brodo, e abbiamo tanti panettoni. Non manca niente… A parte la scelta». La suora a sinistra ha settant’anni, ha preso i voti a ventiquattro. «Ho la quinta elementare – spiega – perché una volta studiare era molto costoso. Ho assistito mia sorella, che era malata, e ho potuto seguire la mia vocazione solo quando è guarita». Questa suora è cresciuta a Inveruno e, giovanissima, lavorava in pubblicità per una smalteria. L’altra invece si occupava di assistenza ai minori. La «chiamata» per lei è arrivata a quarantanove anni. Se è mai stata innamorata di un uomo? «No», risponde sorridendo. Le mura sono alte, in un perimetro che sembra blindato ai mortali, puoi restare materialmente incastrato. Là fuori, il traffico assordante e la «movida» di Milano. Il silenzio, qui, è impenetrabile e al tempo stesso accogliente: una forma di maternità, di simbiosi con «l’ospite interno» che ciascuna delle suore adora e professa per tutta la vita. E nel silenzio (per loro sinonimo di ascolto) sarà anche il Natale. Ma queste mura sono più un rifugio o una prigione? «Una prigionia d’amore» disarma la suora più anziana, col tono di una moglie sedotta e felice dopo cento anni di matrimonio.
Poi c’è Gertrude, Madre Priora di un altro Monastero: quello delle Benedettine del Santissimo Sacramento (in via Colonna): ha settantacinque anni, il nome della Monaca di Monza, ma lei sì che conosce il web: il Suo Natale alle porte ce lo racconta in una email: «Uscirò dal coro monastico nella navata esterna per deporre la statua di Gesù Bambino nel grande presepio. Poi ci scambieremo gli auguri con le sorelle – prosegue Madre Gertrude -, e ciascuna troverà alla porta della propria cella un pacchetto con regalini personalizzati e una lettera scritta dalla Madre a nome di Gesù Bambino con un pensiero speciale adatto alle singole sorelle». La suora più giovane, nel suo monastero, ha ventinove anni; Madre Gertrude invece entrò nel chiostro quando ne aveva ventuno e frequentava il terzo anno di Filosofia. Il valore aggiunto delle donne nel clero? Secondo lei, «l’inclinazione a custodire la vita, a donare se stesse, a intuire il cuore degli altri: doti complementari a quelle dell’uomo. La loro testimonianza nella chiesa è indispensabile».
Dal centro alla periferia: in metrò la scala è (im)mobile
«È un miracolo che scorra» dice un signore alla Stazione Metro Moscova. Non sta parlando di un fiume, naturalmente: il suo indice è puntato verso la scala mobile che sbocca sull’uscita. In effetti scorre. «Ma provi a passare tra un paio d’ore e la troverà immobile. Non so più da quanto tempo sia guasta». Moscova, dunque, Linea Verde nel cuore del traffico sotterraneo di Milano. «Lo vede quel signore là?» indugia il nostro interlocutore, riferendosi a un impiegato dell’Atm fermo al suo sportello: «Secondo me, avrà almeno 5 mila reclami. La gente è stufa, non ne può più».
Eccolo, i biglietto da visita che la città presenta ai suoi abitanti e soprattutto ai turisti. Scale mobili – «mobili» per modo di dire – che si ergono come monumenti tra un piano e l’altro delle stazioni metro, ma non fanno il loro lavoro almeno da un paio d’anni. Così raccontano i pendolari. Turisti, autoctoni che si muovono in metro per lavoro, studenti e pensionati che accompagnano a scuola i loro nipoti. «Il peggio – spiega Andrea, edicolante di una stazione sulla linea rossa – si concentra su questa linea. E, a causa delle scale mobili ferme, io sto perdendo moltissimi clienti». Non siamo in periferia, ma a poche fermate dal Duomo. I punti di vista di due turiste diciannovenni e quello di un operaio confliggono. «Ho vissuto a Milano da bambina – racconta la giovane svedese alla stazione Cordusio – e adesso sono qui da turista. Le scale mobili che non funzionano sono moltissime a cominciare da qui». Secondo chi cerca di riparare con le sue mani il disagio della scala mobile, le speranze di rivederla fluire sono poche: «Finirà che la abbatteranno e piazzeranno un bel muro. A Cordusio, San Babila, Palestro», spiega questo operaio in una delle stazioni più centrali della linea rossa.
A San Babila – una stazione fondamentale anche per il collegamento con l’aeroporto – il signor Salvatore Ferlazzo, settant’anni, dice: «Oltre che guaste, ci sono orari abbastanza fissi al mattino e in serata, nelle fermate di periferia, dove le spengono. Secondo me tentano un risparmio energetico!». Se negli ultimi due anni questa situazione sia migliorata, peggiorata, o rimasta stabile? «Penso sia andata in peggio». Siamo alla fermata San Babila, e al di là della catena con segnale di divieto d’accesso davanti alla scala mobile paralizzata, qualcuno ha pensato di gettare fazzoletti accartocciati, involucri di caramelle, rifiuti. Alla stazione di Palestro, due giovani studentesse raccontano che «a noi non dà fastidio, ma l’altro giorno c’era un signore sulla sedie a rotelle, alla fermata di Sesto San Giovanni: è rimasto là».
Poi c’è Katrin, tedesca, italiana naturalizzata perché ha lavorato come segretaria a Milano dal ’67 al ’99. Oggi cammina con l’aiuto di un bastone, e col volto sorridente dice: «Se mi lamentassi delle metro di Milano sarei disonesta. Ma ci sono delle stazioni come Lima o Lambrate dove la scala mobile, al piano di mezzo tra i treni e l’uscita, non è che funzioni: non c’è affatto». «Le persone sono rassegnate – racconta Gisella, alla fermata Moscova, due passi da Corso Garibaldi – : è un fatto risaputo, noto, quasi fisiologico. Le scale mobili non funzionano. Punto».
Saldi, il boom del lusso e l’assalto degli stranieri LA SFIDA ALLA CRISI
Pazientano, debordano dai viottoli indecisi sulla direzione prioritaria: sorridono senza sgomitare come se fossero in fila per uno show. Alle undici del mattino, mormorano che «da Gucci fanno entrare quattro persone alla volta». Gucci e Prada – i negozi, naturalmente – si guardano negli occhi, ora come non mai. Assistono a un’osmosi di clienti, in via Montenapoleone, che non si vedeva da anni. Soprattutto stranieri. Soprattutto russi – come spiega il direttore di un punto vendita Etro – perché in questi giorni dalle loro parti si svolge una festa ortodossa che invoglia i giri turistici internazionali. E, siamo sinceri, se poi si scopre che a Milano le grandi marche hanno abbassato i prezzi del 50%, la sortita in centro è un mix di folclore e griffe (quasi) a buon mercato.
Alison Kubler (australiana) è la madre di tre bambini di 7, 5 e 2 anni. I capelli stretti in uno chignon biondissimo, un basco di lana sulla testa e il sorriso riposato di cinque settimane a Milano. Gallerista, moglie di un pittore, aspetta che suo marito esca dal camerino di Gucci. Cos’ha di speciale questo posto, per lei? «L’abbigliamento maschile e il bellissimo design», dice. «Ma non il logo. In effetti io preferisco che le cose che indossi passino un po’ più inosservate». Adil, imprenditore francese di trent’anni (con due colleghi di 27 e 34), ha percorso 450 chilometri da Lyon solo perché su internet aveva letto che oggi a Milano il lusso strizza l’occhio ai portafogli. Ma guai a chiedergli se Milano sia la capitale euroepa della moda. «Parigi è più completa – dice – : è più bella». Di parere opposto sono le giovani sorelle australiane Henriette e Beatrix Greennalgh. Per Henriette, diciottenne che studia pubblicità: «Milano è meravigliosa. E i saldi hanno regalato alla città una bellissima atmosfera».
Javier Bone, madrileno, è un designer industriale di trent’anni: pochette leopardata e pelosa in mano, lenti all’ultima moda e un sorriso poliglotta. Il suo budget di oggi è di 700 euro, e spera di spenderli in scarpe.
C’è poi il turismo italiano e il traffico autoctono. Massimo Della Valle, Vittorio Piscitelli e Davide Beata sono tre giovani torinesi a spasso per Milano, solo per un giorno, e solo per i saldi: non sforeranno i 300 euro per gli acquisti. Monica Tiano e Diego Tedesco, avvocati di 28 e 31 anni, romani, non badano a spese per la lingerie.
E c’è chi invece coi saldi ha un appuntamento fisso tutti gli anni. Monica Corradeschi, cinquantenne bergamasca, farà un tour solo per i saldi invernali. Ma solo per guardare le vetrine: «Ho già comprato tutto il necessario prima di Natale».
La giovane 23enne Tina (cinese che studia Economia in Canada a Toronto) si limita a fotografare un orologio Rolex in vetrina. «perché è bello – spiega – e famoso». Ma non comprerà nulla neanche in saldo.
Dalla Rinascente esce invece Luca Pilotto, milanese di 48 anni, con la moglie Sara. «Abbiamo comprato qualcosa, sì. Non siamo usciti esattamente per i saldi… Ma l’occasione fa l’uomo ladro».
Barona, crepe sulla strada. Transenne anche a scuola
«Non si verificheranno mai i danni di Napoli o Palermo», ci dice un poliziotto in via Balsamo Crivelli (zona Barona). Le intenzioni sembrano quelle di riportare al più presto strada e strutture – probabilmente a rischio crollo – a norma di completa sicurezza.
Ma oggi è un labirinto di transenne, via Balsamo Crivelli. Al numero 3 c’è un Istituto Statale di scuole elementari e medie: la scuola Tre Castelli. Se all’uscita, sui marciapiedi ghiacciati, incontri genitori e nonni, e chiedi loro perché sia in atto un provvedimento di sicurezza, la risposta è sempre: «Dicono ci sia un problema su quella strada. Proprio là», e indicano una porzione d’asfalto indistinta, tra un marciapiede e l’altro perpendicolari all’edificio. Parlare con la preside è praticamente impossibile. Saperne di più, tra le mura della scuola, un’altra sequela di «nì» e «non so». Nel cortile tutto pare scorrere normalmente: i bambini escono addirittura cantando. Le vacanze di Natale dispensano, come sempre, buonumore e un commiato alla routine.
Sono davvero al sicuro, queste mura smussate e solcate da rughe (una faccia ordinaria, quella della Tre Castelli), blindate in un recinto di transenne? Dal comando dei vigili, sia pure non ufficialmente, trapela che il problema sia una roggia (canale sotterraneo del quale il sottosuolo lombardo è notoriamente ricco): precisamente la «Roggia Paimera», una volta dal diametro di due metri, che avrebbe subito dei danni e presentato delle crepe. È l’Assessorato ai Lavori Pubblici a precisare che, nei prossimi giorni, saranno effettuati sopralluoghi da parte del Comune e, in via eccezionale, di Metropolitana Milanese (in convenzione col Comune di Milano per la manutenzione di queste aree): si predisporrà un intervento sulla Roggia Paimera e poi sul sedime stradale.
Benché non ci siano ancora segnali d’allarme sulla strada – ci spiegano – la Polizia Locale ha stilato un comunicato sulla viabilità della zona. La circolazione più compromessa in questo periodo riguarda le zone di Via Giussani e Via Chiodi. Il pericolo potrebbe essere un cedimento, o addirittura il crollo della carreggiata.
Fotografie della roggia sono nelle mani della polizia: impossibile, per adesso, anche solo dare un’occhiata. Ma dall’Assessorato alla Sicurezza e Coesione Sociale del Comune di Milano, la conferma è che per il momento nulla di allarmante è accaduto sulla strada, nonostante gli smottamenti sul terreno siano evidenti. Le crepe della roggia sono state riscontrate, dunque, a seguito di una ispezione: le fessurazioni riguardano il fondo e la volta della roggia.
Ed è anche per raggiungere via Tre Castelli che la Polizia consiglia, in questo periodo, un percorso alternativo sicuro. Ci sono infatti zone in cui le telecamere sono state disattivate e la segnaletica, addirittura, velata.