
Quando ho ascoltato su Otto e Mezzo (La 7) che Aldo Grasso detesta le “interviste alla gente comune”, l’indagine degli umori per strada a ridosso di eventi, ricorrenze, fatti di cronaca etc., ho pensato due cose:
1) Che sono perfettamente d’accordo.
2) … Che, nella mia esperienza giornalistica, soprattutto quella svolta per le strade di Milano, ci sono stati un po’ troppi chiwawa. Meno male che a Roma non è così.
Questo è il mio pezzo da rompiscatole degli elettori milanesi, per il Giornale, in data 25 febbraio 2013.
Al voto sei milanesi su dieci. Oggi seggi aperti fino alle 15
In calo le politiche (meno nove), boom per le regionali. Quasi sei elettori su dieci al voto, con il dato della città e e della regione che coincidono: dopo il primo giorno l’affluenza per le regionali è al 57% sia a Milano città che in Lombardia. Il traino del voto politico si è fatto sentire (59% alla Cemera, 60% al Senato) nonostante il maltempo. Acqua mista a neve bagna gli ombrelli e le teste dei milanesi nell’ora in cui, in centro, il seggio di via Goito si riempie di più: mezzogiorno. È all’ora di pranzo che una famiglia di tre persone consegna la propria fiducia («tutti lo stesso colore, ma il voto va a tre persone diverse») al liceo Parini, che per una domenica smette i panni scolastici e sfoggia l’orgoglio civico. Il signor Donato Faiolo è un ingegnere di 68 anni, sua moglie Felicita («allegra pensionata») lavorava come impiegata, e la figlia Roberta, ingegnere anche lei, oggi lavora come tecnico teatrale in periferia. «Cosa mi aspetto? – commenta Donato – in Lombardia ci vorrebbe poco per migliorare le cose: peggio di così non può andare. Certa è una cosa. La gente che non vota non lo fa perché stressata dal lavoro e priva di tempo utile: negli anni ’60 si lavorava più di adesso, ma si votava eccome. È che le persone non s’informano». Sua figlia controbatte che «la nostra generazione è quella del “Tanto sono tutti uguali“. E non è vero. A questa città, piastrellata, senza spazi verdi, nervosa e affannata io auguro una cosa su tutte: che la politica faccia venire il buonumore». La signora Felicita è stata l’unica della famiglia a regalare una croce (mai c’è omaggio più gradito, in clima elettorale) a una donna: «È molto importante votare le donne».
Il tempo di arrivare a Bollate, alla scuola elementare Don Milani, e dal cielo scendono fiocchi di neve che quest’anno Milano non aveva ancora visto. La strettoia per accedere al seggio è inzuppata e ghiacciata, ma le persone sembrano decise. «Perché sono qui nonostante il maltempo? – dice Franco, impiegato di 57 anni, immigrato a Milano dal ’79 – Perché il mio futuro non lo delego a nessuno». E mano nella mano, sotto lo stesso pergolato davanti alla scuola, escono Carlo e Martina, entrambi ventenni. Lei studentessa di economia in Bicocca, scrutatrice per caso, lui operaio. Due voti – confessano – che più diversi non si può, ma per la stessa causa: «Meno tasse e più lavoro». Ed è allora che Stella, in scarpe da ginnastica nella giornata più improbabile dice: «Io ho 58 anni e non lavoro più. Ma ho nipoti molto piccoli e voto soprattutto per loro. Il mio voto? È disgiunto. Ma non certo perché “uno vale l’altro“ come dicono tutti“».
Il seggio di via della Spiga, nel Quadrilatero della Moda, passa per il «seggio dei vip» della città. Non mancano i capelli vaporosi e laccati di anziani indisposti con un chiwawa più rilassato di loro sottobraccio. Ma qui votano anche le suore del San Raffaele. Una, 83 anni, ha un passato in Bolivia e un sorriso spalancato sul futuro. L’altra ha sessant’anni è una cosa più a cuore delle altre: «Quando si afferma che la Chiesa e la politica hanno molto in comune provo molto dispiacere. Ma noi votiamo tutte. È un dovere civico fondamentale. Ma lo esprimiamo ciascuna per conto proprio e solo secondo la propria coscienza».