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In principio fu un flipper. Nelle mani di un bambino di sette anni, lo sguardo sul mare assonnato e i «panni puliti» della mamma stesi al sole, le «mollette» per preservarli dal vento della Calabria possono finire in una scatola, a spingere biglie e guizzare in un videogame fatto in casa. Si fa tutto in casa, nella famiglia Sposato: in un paesino vicino Cosenza, sette figli, una mamma che resta vedova a 43 anni del marito, piccolo ristoratore. Alla prigionia di guerra è sopravvissuto, ma un malore lo porta via all’improvviso, ed è allora che il capofamiglia diventa il primogenito, Pino, aspirante poliziotto di diciotto anni.

Mario ha sette anni e dal padre ha imparato due cose: la matematica e il risparmio. Questa smania di trasformare gli oggetti spezzati, sventrati, gettati via, in qualcosa di utile, non ha ancora l’ambizione dell’arte. È arte suo malgrado. «I miei giocattoli – racconta – attraevano gli altri bambini. Perché erano diversi, nessuno ne aveva mai visti di simili: li facevo con le mie mani, e così i costumi di Carnevale. Ma la mia unica premura era non spendere un soldo».

Una sua opera oggi si trova nella casa di un ex premier, qualcuna l’hanno comprata attori, attrici e sportivi noti al grande pubblico che sorridono nelle loro foto a Crotone. Perché Mario (46 anni) oggi vive lì, e possiede, coi suoi fratelli, uno degli alberghi più belli del Sud. Ma soprattutto, è lì che i suoi ospiti, Vip da tutto il mondo o autoctoni di passaggio, trovano il suo museo. La collezione di Mario Sposato, imprenditore e insospettabile, originalissimo artista. Uno che, coi fili d’alluminio, crea un crocifisso dalle forme minimali, Cristo e croce fusi insieme come un pugno di spaghi, e lo regala a Papa Francesco.

A tredici anni Mario lavorava in una discoteca; all’ombra protettiva del fratello Pino si è dato da fare in moltissimi locali e ristoranti. Poi ha realizzato il sogno di famiglia: avere un’azienda grande e ben frequentata, vicino al suo mare, dove lavora coi fratelli. Ma quando Pino («il mio papà di fatto e uno scrittore») è venuto a mancare quattro anni fa, Mario ha accolto la sua lezione più importante. Recuperare i rifiuti, farne un capolavoro, ed esprimersi fino in fondo attraverso sculture, utensili, gioielli irripetibili. Perché un tempo appartenuti a individui, indossati, utilizzati, e oggi resi preziosi da olio di gomito e fantasia.

«Un giorno, tre anni fa, c’è stata un’alluvione terribile. Un disastro che distrusse il mobilio del ristorante – spiega Mario Sposato – e ricomprammo parte dell’arredamento. Il resto lo riprodussi in arte. Perché, in un sogno, mio fratello Pino, scomparso da poco, aveva detto: “Mario, in questa sala devi creare il paradiso”». In che senso? Che in cento metri quadri, al primo piano dell’albergo, Mario avrebbe dovuto raffigurare la pace dei sensi, la quiete dopo l’alluvione, un ambiente che emanasse serenità agli ospiti, ai dipendenti e ai proprietari preoccupati. Una barca che galleggia nel blu, angeli che dormono, luci mascherate da gabbiani che fluttuano nel vento (o quando spira il condizionatore): «Nella creatività ci vuole sempre ingegno, un pizzico di ingegneria se serve», riflette Mario. E forse non sa che Antoni Gaudí, a Barcellona, la pensava allo stesso modo, cento anni fa. E come lui amava il mare, lo costruiva all’asciutto, poi fondeva nelle pareti senza spigoli di Casa Batlló eleganti allusioni sensuali. Le stesse che piacciono a Mario Sposato: sussurrate, accoglienti, qualche volta sarcastiche. Perché le onde del mare e quelle delle donne hanno in comune l’origine del mondo.

Ma il suo museo a Crotone è un vero tempio della Pop Art. «Si chiama “Museo Pitagora”: vengono a visitarlo anche molti bambini con le loro scuole: offriamo loro un buffet di gelato».

Da cento a centomila euro, forse, il valore delle sue creazioni. La più costosa? Un mappamondo fatto di microchip e transitor in disuso: la Terra cibernetica e antiquata allo stesso tempo. Fuori dal tempo. Come una collezione di cuori realizzata con le viscere di vecchi orologi, assieme al maestro orafo Peppe Spadafora.

«Quando coloravo le mie cose, da ragazzo, il verde lo trovavo negli spinaci; il viola nel vino rosso – ricorda Mario Sposato – ma, ancora una volta, solo per non spendere nulla. Elementi naturali e fissante, e trasformavo gli ambienti». Forse si comincia così. Scrostando l’oro dal terreno calpestato. Incollando lattine accartocciate e trasformandole in una poltrona («Il trono di latta»). Ma anche tramando ottone, rame, argento, e facendone pezzi impossibili da riprodurre, tanto per il materiale riciclato che per le forme in cui Mario Sposato le ha chiuse. Una esposizione delle sue opere accompagnerà quelle del maestro Giò Pagani, un’altra sarà agli Harrods di Londra il prossimo gennaio. Ma le sue creazioni (e ce ne sono per le parrocchie come per il Burlesque) sono state battute anche ad aste di beneficenza.

«In un vecchio terreno di mio padre ho trovato uno strumento per macinare il grano. Gli ho messo occhi e capelli, un trattore accanto. Adesso è un contadino col volto contratto dalla fatica». Ha gli occhi gonfi e somiglia a un Pinocchio tribale, in effetti. Abbronzato, la faccia di un bambino. Sarà pure stanco, ma mette buonumore. E quasi ti aspetti che, all’improvviso, senza ragione, sia capace di ricambiare il sorriso.

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Una volta pensavi che, se il finale di un film non era di tuo gusto, non era il meglio che si potesse fare, tanto valeva sperare in un sequel. E che, per far vivere dei personaggi con le proprie mani, toccasse comprare le marionette. Il mondo dei videogame, invece, sta scuotendo questi dogmi.

Beyond: Due Anime è il «videogioco dei sentimenti» scritto da David Cage per Sony (disponibile sulla Playstation 3), che cala gli attori Ellen Page e Willem Dafoe in una claustrofobica e dolce fantascienza. Le «due anime» sono quelle di Jodie Holmes (bambina, adolescente e donna, interpretata da Ellen Page) e il fantasma Aiden, un’entità invisibile legata a lei da sempre. La presenza che la sconvolge, le fa sanguinare le narici all’improvviso, la coccola nel buio ma, quando meno te lo aspetti, impazzisce di gelosia. Lo spettro che la ama di un amore umano, che non ha una provenienza né una logica, non ha identità. Eppure è reale e, di volta in volta, va affrontato diversamente.

A David Cage (già autore del videogioco Heavy Rain) l’idea è venuta in mente dopo un grave lutto della sua vita. Può far pensare che, forse, giocare col dolore e imparare a «dirigerlo», a riscriverlo, gli sembri una strategia vincente. «Giammai», risponde lo sceneggiatore: «L’idea era più quella di “contagiare”, far vivere agli altri, attraverso il videogame, la sofferenza e lo smarrimento che una vicenda reale mi hanno provocato. Farle vivere sul serio». Provarci, almeno, e scoprire se si può. La risposta sono gli occhi pieni di lacrime degli spettatori: pardon, dei giocatori. Soprattutto quando il personaggio di Jodie Holmes (Ellen Page, la protagonista) vive una sequenza disperata, in cui resta sola e senza una casa.

Durante la conferenza stampa, a molti torna in mente Sliding Doors. Il film con Gwyneth Paltrow che mostrava cosa sarebbe successo se la protagonista fosse riuscita a salire su una metropolitana, e quale destino, invece, l’avrebbe travolta se non ce l’avesse fatta. O Match Point, di Woody Allen. Almeno due storie diverse a seconda che una banale pallina da tennis balzi al di là o al di qua della rete. Ma il lavoro di David Cage non affida al caso, né al nostro gusto per questo o quell’altro «destino», le vite di Jodie e Aiden. Vicenda per vicenda, noi possiamo immedesimarci nei personaggi e decidere cosa proveremmo al loro posto; immaginare come ci comporteremmo. Sono le scelte determinare questa o quella sceneggiatura. «La differenza tra lo scrivere un film e un videogame – spiega David Cage – è tutta lì. In Beyond: Due Anime le soluzioni possibili sono tante. Sono, ciascuna, il frutto di molte combinazioni. Combinazioni che solo il giocatore, il pubblico, può decidere. A seconda di come agirebbe nella situazione che gli viene presentata. Di volta in volta, è lui a scrivere la storia».

È sì un videogioco d’azione, che fa correre i brividi sulla pelle, che cattura e richiede concentrazione. Ma è soprattutto, è la storia di una ragazza insicura, che piange spesso (e che opera d’arte, paiono gli occhi nocciola di Ellen Page allagati dalla malinconia nella grafica del videogame), che confessa di sentirsi sola. E ha bisogno dei nostri stati d’animo per «mentire o dire la verità?», «flirtare con questo ragazzo o fare da tappezzeria alla festa?», «tornare a casa o vendicarsi delle angherie subite dai compagni?». Beyond: Due Anime ci interroga continuamente perché una Jodie civettuola porterà la sua vita, qui ed ora, in un posto diverso dalla Jodie timida e fragile. E domani, le conseguenze saranno ancora più evidenti. Come nella vita. Quando poi ci si cala nei panni (invisibili) di Aiden, immaginarci fantasmi e prede di sentimenti oscuri sarà ancora più sorprendente. Vittime e carnefici di un amore bambino.

La ricetta del videogioco: in tutta sincerità, quanto è importante seguire l’istinto e quanto le ondate del marketing, per scrivere una storia come Beyond? «Beyond è stato scritto quasi completamente d’istinto – risponde ancora David Cage –. E perfino la scelta di due attori come Ellen Page (premio Oscar per Juno, ndr) e Willem Dafoe, non ha avuto altre ragioni che la qualità e il talento di questi attori. Hanno recitato davvero, abbiamo ottenuto, con la tecnologia delle capture, un buon utilizzo del loro stile, della loro voce. Interpreti del genere aiutano il mondo a rispecchiarsi nella storia. Come succede al cinema».

Può venire in mente un altro film: Ruby Sparks (2012). Un giovane scrittore inventa una ragazza – Ruby – graziosa e imperfetta. Per miracolo, la giovane prende corpo nella vita vera, e s’innamora, riamata, del suo creatore. Ma c’è una specie di incantesimo: lo scrittore, che continua a digitare parola per parola la storia della sua Ruby, determina con ciascuna decisione, o descrizione, la vita reale di questa ragazza. È il suo innamorato, ma anche il suo dio. Non è molto diverso da quello che succede quando un ragazzo tra i 20 e 25 anni gioca con Beyond: Due Anime. È spassoso vederlo coi propri occhi. Un giovane uomo che diventa «la controparte», che decide come far agire quel personaggio spaurito; che diventa lei, e nel contempo la protegge. Forse non se ne innamorerà ma certamente «se la sente dentro – dice David Cage – . Ed è sincero con lei. Non fa il contrario di quello che farebbe nella vita vera. Io lo so, l’ho chiesto a molti giocatori. È più forte di loro. Diventano Jodie. Le emozioni non hanno sesso».