Il tempo delle Apple – La mia inchiesta sull’affettività dei teenager nell’era di Facebook
Simonetta Caminiti
Pubblicato il ottobre 24, 2014

Per Style Week, Il Giornale.
Una volta, disegni di cuori e commenti ammirati affollavano (solo) le Smemoranda. Le belle della scuola, le Miss implumi, avevano persino pagine con una lunga lista di nomi e cognomi e – con puntiglio religioso – segnavano poche “X” accanto a qualcuno. I ragazzi che avevano chiesto loro di diventare una coppia, e la piccola cernita di fortunati che si erano beccati un “sì”. Al tempo dei selfie, delle bacheche pubbliche su Facebook, il gioco non è così diverso. Fa più impressione, forse, finché non ci si abitua. E la cronaca fa il resto. Bacino d’utenza poco controllato e dilagante, l’adolescenza su Facebook può diventare anche il punto di riferimento di adulti (l’ultimo è un quarantenne di Pordenone) che, con più rapidità, affondano in internet le peggiori intenzioni. Detengono materiale pedopornografico, adescano ragazzi e ragazze sul social network per poi ritrovarsi denunciati per violenza sessuale e pornografia minorile. A Pordenone, solo lo scorso marzo, la polizia postale ha intercettato un baratto tra «immagini particolari» di un quattordicenne e la promessa di 500 euro a prestazione.
Non va certo tutta così, la gioventù online. Il tempo delle mele è solo diventato quello delle Apple. Quello in cui vanità, timidezza, confessioni al mondo, spionaggi affettivi, si sono trasferiti dalle persiane di casa alle finestre delle chat: anche per i più piccoli. Anche se, in teoria, i minori di 13 anni non potrebbero proprio aprirlo, un profilo Facebook; e, fino allo scorso ottobre, ancora in teoria, il team di Mark Zuckerberk vietava ai minorenni di usare la funzione «pubblica» (dunque, l’opzione sulla privacy estesa ai «non amici») per tutti i loro post. Le cose non vanno davvero così. Dati alla mano, i minori di 12 anni possono pubblicare qualunque cosa (purché la loro età la si conosca, come nei casi che abbiamo osservato, solo per vie diverse: e non venga inserita nei big data di Facebook). Un bambino di dieci anni può fare sul network ciò che desidera, insomma, purché il sistema non riceva informazioni “ufficiali” sulla sua età.
Dei «diari» su Facebook, spesso i teenager consegnano una copia ai genitori: la password per l’accesso al network, nota almeno a un adulto in famiglia. Nel più dei casi, la mamma. «Ho la password di mia figlia e seguo tutto ciò che pubblica, ma mi fido di lei – ci spiega una signora bresciana – e fino ad oggi non ho mai avuto bisogno di usarla». Sempre in prima fila, su Facebook, anche la madre di Maya (nome di fantasia), diciassettenne siciliana, liceo classico di grido, che (senza alcuna limitazione nella privacy) ha sul diario almeno 200 selfie (gli autoscatti perfetti che ormai impazzano anche tra i Vip), citazioni dotte sull’amore e consigli da fare invidia alle «poste del cuore» più navigate. Maya (genere di utente diffuso e, che di primo acchito, ha un paio di cloni anche dal punto di vista somatico, sparsi per il Paese) è brava a scuola e tiene i sogni ben nascosti al pubblico; ma i suoi occhi orlati di mascara ricordano il lato cerbiatto di Belén Rodriguez, e i ragazzi non hanno paura di affollare la sua bacheca. Ancora nel profondo Sud, due cuginette di 11 e 13 anni, pubblicano tutto senza restrizioni. Fatalità vuole – e ribadiamo con ciò che il dato ci pare casuale, ma comunque degno di nota – che i genitori di entrambe siano separati, che il padre non sia iscritto a Facebook e che la madri, sorelle, commentino con fierezza le loro pose e le loro zuffe online. In copertina, una delle due (quella di undici anni) modula con le labbra l’annoiato confine tra un bacio e un broncio; e se «posta» (cioè, pubblica) qualcosa per attirare l’attenzione dei ragazzi, le amichette lo osservano nei commenti senza troppo riguardo. Costume da bagno abbracciato al fidanzatino, per la cuginetta più grande, ancora nella maxi schermata centrale del profilo. E i maschietti? Come una volta, più silenziosi nell’affettività, più chiassosi nello sport, nel culto del lugubre, probabilmente; su un campione di cento ragazzi tra i 13 e i 19 anni, che abbiamo seguito per un mese (anche retrospettivamente), quel che salta all’occhio è che su Facebook lasciano languire la sessualità: almeno rispetto a quanto accade nella socialità scolastica – ci raccontano due ragazze – e nelle uscite. (Per fortuna, eccome se escono). Più attenti alla privacy, più riservati delle ragazze, gli adolescenti di sesso maschile.
Poi lo sappiamo: la passione degli adolescenti è la satira. Ma in quanti tipi di «satira» può inciampare un ragazzo di 13 anni? C’è una comunità romana che miete 14mila iscritti. Il nome è già una blasfemia, e tutti i post pubblicati e commentati dalla comunità sono fotomontaggi «satirici» mirati a due cose: bestemmie e droghe. Affreschi di santi che dicono oscenità, vignette che inneggiano agli stupefacenti. In maniera così esplicita da far giustificare chi manutenziona la pagina: «È solo satira», niente di male, per carità. Le vignette sulle droghe sono cifrate, nella descrizione esterna, dal codice «DRG». Un concorso per i seguaci di questa comunità, lo scorso anno (e il gruppo si è iscritto a Facebook il 12 marzo 2013), aveva bandito un «premio STUPEFACENTE» per le migliori vignette in lizza. Oltre alle inguardabili scenette sulla droga, insulti (impastati di turpiloquio) sugli ebrei, il vituperio del credo cattolico emerge a ogni piè sospinto. Ma non era un reato, il vilipendio della religione? E perché, nonostante le molte segnalazioni per far cancellare questo gruppo, è lì vivo, vegeto e sempre più provocatorio?
Secondo lo psichiatra e professore Tonino Cantelmi, autore, tra l’altro, di Tecnololiquidità – la psicologia ai tempi di internet (San Paolo, 2013), «I genitori della generazione-di-mezzo, quella che ha preceduto i “nativi digitali” a volte scimmiottano i loro ragazzi (per esempio scrivono sms con lo stesso dialetto digitale degli adolescenti) e soprattutto sono assenti, troppo presi dai loro bisogni di affermazione. I bambini – prosegue Cantelmi – e gli adolescenti di oggi costruiscono comunità giovanili “tecnoreferenziate”, e non si rapportano a modelli adulti. In nessuna epoca l’abuso delle sostanze stupefacenti a degli alcolici è stato così precoce e così diffuso fra i giovanissimi».
Tanto è importante per i teenager aggiornare la loro bacheca ed esprimersi “social”mente, che il team di Mark Zuckerberg (CEO di Facebook) è oggi al centro di polemiche per una novità che riguarda proprio i giovanissimi. È segnalata dal Wall Street Journal, e riguarda la monetizzazione degli utenti: come capitalizzare, far fruttare, le iscrizioni dei più giovani. Con la pubblicità.
Le colonnine che – come ormai sappiamo – appaiono sulla destra della nostra schermata su Facebook e ci dicono (anzi, ci confermano) molto di noi. Quelle inserite in base a informazioni che Facebook succhia dalle nostre preferenze, dalle parole che pubblichiamo, ma anche dai viaggi che svolgiamo al di fuori del network (dati tratti dai nostri check-in) e dalle tracce che lasciamo in rete. La novità è che le pubblicità che scorrono oggi, secondo il Wall Street Journal (per cui, negli Stati Uniti), e che riguardano i minorenni, vanno dalle diete ultra-rapide agli appuntamenti in webcam col popolo adulto. Nel capoluogo di Oakland – e non è un caso – le pubblicità visualizzate dai più giovani riguarderebbero perfino il commercio di armi. Troppo vasto, il fenomeno, replica il team di Zuckerberk, per contenerlo e monitorarlo perfettamente.
Come dire che, dal Big Bang a una certa (indistinta) stagione dell’Uomo, il suo piccolo dio sia stato in grado di indirizzare e proteggere, sottrarre qualche pietra dell’inciampo, censire. Poi, l’universo colonizzato. E certamente, Facebook faber suae fortunae. In ogni senso.