La mia intervista a Massimo Cirri, anima di Caterpillar, RadioRai2, su Il Giornale (Milano)
Simonetta Caminiti
Pubblicato il novembre 11, 2014

Se si dice «Caterpillar», si è già detto moltissimo, in radio. La satira politica e l’attualità di Radio Due in un programma tormentone che si confessa al pubblico (e viceversa) da sedici anni. Massimo Cirri, voce portante della trasmissione, ha creato Caterpillar dal nulla, assieme a Sergio Fiorentini: da allora una «costola» del programma (con rubriche e appuntamenti cult) fa ridere e sbraitare gli ascoltatori della fascia mattutina. Ma al tramonto – parola di Massimo Cirri – le persone lasciano entrare la radio nella loro vita più volentieri.
Dall’83 per qualche anno, laureato in psicologia, lavorava nei servizi di salute mentale. Oggi fa satira politica…
«Sì. Ma i miei studi li ritrovo molto più nel fare radio che nella satira in sé. Lavorare come psicoterapeuta mi ha insegnato a fare le interviste. A tenere il discorso, a stare al centro dell’attenzione. A parlare senza fronzoli dei dolori delle persone».
Ma come le venne in mente di lavorare in radio?
«Il primo incontro con questo mondo fu a Radio Popolare. Una collega mi ci portò una volta e lì conobbi Paolo Farinetti, sociologo e autore musicale. In radio inventava poesie demenziali. Un giorno (per via del mio accento toscano) mi chiese di leggerle in onda. E poi una volta si ammalò e mi permise di sostituirlo».
Così esordì con una poesia demenziale?
«Esatto».
Se la ricorda?
«Un po’ a stento. Credo fosse su Yuri Andropov, un leader sovietico appena scomparso, del quale si diceva che fosse già morto da quattro anni. Una stupidaggine».
Quando invece propose Caterpillar ai suoi editori di cosa parlò?
«Proponemmo un programma vicino alle persone in momenti particolari della vita. Quando tornano dal lavoro, la sera, e corrono in macchina in tangenziale. Quello è un momento triste, di solitudine. E poi volevamo raccontare il mondo, con collegamenti con l’estero».
Quale incontro radiofonico, tra tutti quelli che le ha regalato Caterpillar, ricorda più volentieri?
«Durante la guerra dei Balcani, intervistai il sindaco di Niš. Era un autore e attore teatrale. Ci raccontò della sua città, degli scioperi contro Milošević, e ci diceva che i loro modelli democratici erano quelli europei e americani. “Adesso quelle democrazie – mi disse – hanno tirato sei missili sulla mia città. Su uno c’era una data di scadenza. Era un missile scaduto.” E osservò: “Ma perché ci bombardano con missili scaduti?”. Ecco, quell’intervista non la dimenticherò».
Ma da cosa nasce il suo interesse per la radio?
«Dalla fascinazione che avevo fin da bambino. Quando a 7-8 anni mia zia mi regalò una radiolina, e io andavo ad ascoltarla in un posto isolato del giardino».
Ha dei bambini suoi, oggi?
«Sono sposato da vent’anni e ho due figli adolescenti. Due carogne!».
Non vanno pazzi per la satira, gli adolescenti?
«Amano la satira in edizione “generazionale”. Più che la satira amano il sarcasmo. Quello che fa dire “Voi siete tutti vecchi, non capite niente” e cose del genere. Dove “voi” sta per tutti. Chiunque non siano loro».
Il successo di Caterpillar generò uno spin-off televisivo. Si sentiva a suo agio?
«Furono poche puntate. La radio ha un grande vantaggio sulla tv: la rapidità. Decidiamo di intervistare il signor Rossi? In un quarto d’ora è fatta. I tempi televisivi sono molto più lunghi. A volte fanno perdere la fantasia. La radio è un artigianato. La tv è un’industria».
Lei non è milanese ma vive in questa città e qui ha una famiglia. Sul suo blog ha scritto delle riflessioni sulle recenti elezioni. Che augurio fa a Milano?
«Cambiamenti in senso “urbanistico”. Rifare anziché costruire. Lavorare sull’esistente da ripulire. Ecco, glielo dico fissando un grattacielo fuori dalla mia finestra. Non mi piace per niente».