Il mio servizio sul Giornale di oggi, intervista al prof Pietro Lorenzetti
Simonetta Caminiti
Pubblicato il febbraio 3, 2015
L’antefatto: “Le donne cercano di omologarsi per essere accettate. Non capisco perché demonizzare se uno non si sente a suo agio e poi dopo l’operazione sta meglio. Se si tratta di diventare come si desidera e non di seguire uno standard imposto dall’esterno”.
L’attrice Nancy Brilli difende con passione il ricorso alla chirurgia estetica, essendo tra l’altro compagna di un chirurgo plastico, e lo fa rispondendo al documento preparatorio del Pontificio consiglio della Cultura nel quale le operazioni estetiche vengono definite “burqa di carne”. Proprio nei prossimi giorni – dal 4 al 7 febbraio – si terrà a Roma l’assemblea plenaria del Pontificio consiglio della Cultura dedicato alle “Culture femminili: uguaglianza e differenza” e Nancy Brilli ne è la testimonial.

Ricorrere alla chirurgia plastica come indossare un burqa della propria pelle, stiracchiata e riempita a regola d’arte? A rispondere è Pietro Lorenzetti, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, e socio, a Roma, della International Society of Aesthetic Plastic Surgey, che sulla questione non ha dubbi: «Mi passi la provocazione: chi si esprime così, paradossalmente, ha un atteggiamento un po’ “talebano”».
Vestite dal burqa che stravolge i loro corpi. È così che potrebbero essere le sue pazienti?
«Mi lasci dire che chi paragona la chirurgia estetica al burqa ha scarso contatto con la società. Se si confonde la chirurgia estetica coi “mascheroni” e gli obbrobri che si incontrano spesso per strada, si fa un grosso errore. Altro è conoscere i benefici e i risultati splendidi che la mia professione può creare».
Esiste l’esagerazione, nella chirurgia plastica, o basta che si stia bene con se stessi?
«L’esagerazione esiste eccome, è molto diffusa, perché una parte della società rincorre standard estetici a cui somigliare ostinatamente: arrivando però a risultati terribili la cui responsabilità è anche del medico. Poi ci sono persone – e le assicuro che sono tante – che si rivolgono a noi per avere una vita migliore. Con lo stesso approccio con cui ci si concede un bel viaggio. Ci sono difetti fisici, congeniti o sopraggiunti con l’età che, una volta risolti, aiutano la vita personale e sessuale: cosa c’è di male?»
L’omologazione. Un rischio ricorrente e concreto.
«Stupire a tutti i costi: è una delle manie dei nostri pazienti. Rincorrere risultati tutt’altro che eleganti. È il chirurgo che sbaglia più di tutti, in questi casi, perché appoggia scelte che non miglioreranno affatto la vita del paziente. La bellezza è sempre stata armonia morfologica, rapporto corretto fra le parti. Lei ha mai visto una ventenne con un seno tondissimo fin sotto la clavicola? Non credo. Labbra spropositate? Non esistono in natura: il medico che crea queste cose ha un difetto di formazione. La colpa è anche sua».
E’ il medico, in quel caso, a creare un burqa, o una piccola prigione?
«La parola “burqa” mi sembra in ogni caso eccessiva. Ma compito del medico è aiutare il paziente a stare meglio: nel suo abbigliamento, nella sua vita affettiva, nel suo rapporto con se stesso. Questo è il nostro lavoro. E perseguire un risultato elegante».