Per Teatro Contemporaneo e Cinema di Mario Verdone, spiego come Shakespeare e le sue tragedie siano presenti nel cinema di Walt Disney.
È la storia di una monarchia florida e rispettata da tutti. Il volto del sovrano è incorniciato da barba rigogliosa come il fogliame di un albero che veglia costantemente sul suo regno; in questo volto guizzano occhi austeri e nel contempo amorevoli. Il re ha un figlio. Il legittimo erede al trono: intelligente, arso da fervore culturale e innamorato di una donna che conosce fin dall’infanzia. È tutto stabilito, prevedibile, ai limiti del fiabesco: ma una tragedia si abbatte su questa dinastia. Il sovrano in carica purtroppo muore prematuramente. Sarà suo fratello a salire al trono prima del giovane principe. E c’è un segreto: il re è stato ucciso proprio da lui, il fratello adesso sul trono, ma è arrivato il momento che suo figlio (il principe) lo sappia e vendichi questo delitto impugnando la corona che gli spetta. Sarà proprio lo spettro del defunto re a sussurragli questa ingiunzione.
Se lo sfondo di tale trama fosse il freddo del Nord Europa , imbalsamato dal ghiaccio, scandito dai silenzi notturni e mistici di Shakespeare, non avremmo dubbi: questa è la storia di Amleto. Amleto, principe di Danimarca. Suo padre è stato ucciso nel sonno dal veleno che il fratello Claudio, già amante della moglie Gertrude (sovrana di Danimarca e cognata dell’assassino), gli ha inoculato nell’orecchio. È il fantasma del defunto re a comparire al cospetto del figlio, e a confessargli tanto l’incesto tra suo zio e sua madre quanto l’omicidio che ha consegnato la corona a re Claudio.
Ma i bambini di tutto il mondo conoscono la stessa storia, e la conoscono grazie al lungometraggio disneyano Il Re Leone. Un sovrano (con la stessa criniera fiorente dell’Amleto Re che Kenneth Branagh porta al cinema, per esempio) viene ucciso da fratello; suo figlio, ancora in tenera età, viene messo in fuga dallo zio usurpatore (la Disney ha dato a Claudio il nome di “Scar”, “Paura”), ma il fantasma del padre scomparso lo ricondurrà nel regno della sua infanzia, a riprendersi il suo ruolo di monarca. Qui però siamo in un cartone animato, e i personaggi sono dei bellissimi felini che prendono vita nella savana.
«Ricordati di me» dice Amleto Re (spettro) al figlio, la seconda volta in cui gli appare. Il giovane principe ha appena infilzato con la spada la persona sbagliata nella camera da letto della madre, ma non ha ancora “fatto giustizia” sulla testa di Claudio. Un «ricordati di me» che sembra il rintocco di una campana, e che la critica letteraria avrebbe rivoltato per secoli come un guanto, pensando a quanto l’inazione (proverbiale) in Amleto fosse in conflitto con l’ansia di vendetta del padre ucciso. Ma anche il fantasma del maestoso leone Mufasa (impossibile non ricordare la voce di Vittorio Gassman, che recitava le sue battute in italiano) pronunciava col figlio l’imperativo «Ricorda». Com’è naturale, il target di un lungometraggio animato non può tollerare simili messaggi di vendetta, di una ritorsione sulla pelle di un altro individuo. Ed è così che gli sceneggiatori Disney hanno risolto tutti i dilemmi di Amleto nelle battute di Simba (la versione “leonina” del principe di Danimarca) che, nella colluttazione finale col perfido zio, precisa una volta per tutte: «No, Scar: io non sono come te». Un chiarimento che più semplice non si può. Troppo semplice per spiegare l’originale letterario: il genio all’occorrenza impietoso di Amleto, che nella tragedia di Shakespeare non aveva pianto per l’omicidio accidentale di Polonio, né aveva riflettuto due volte prima di mandare a morte Rosencratz e Guildestern.
Il Re Leone (Disney, 1994) è decisamente la versione edulcorata del capolavoro di Shakespeare. Ma non è l’unico caso in cui la Walt Disney Pictures rende omaggio allo scrittore inglese più produttivo e famoso nel mondo.
La nomenclatura del film La sirenetta (1989) proviene dal play di Shakespeare La Tempesta. Il nome della protagonista stessa, “Ariel”, era lì il nome di uno spirito dell’aria che impregnava l’ambiente del suo canto e della sua musica. (Tra l’altro, nella storia originale di Andersen, la Sirenetta diventava proprio una “figlia dell’aria”).
E così pure il nome del granchio Sebastian, il galoppino del Re del mare, è lo stesso di un altro personaggio de La Tempesta: il fratello del Re di Napoli, Alonso, vigile (come il colorato Sebastian disneyano) anche durante il sonno dei compagni. E a chi pensasse che l’industria Disney si fosse dimenticata della strega Sycorax, generatrice di quel Caliban prigioniero di un albero che diventa creatura e servo di re Prospero, si ricordi la “Nonna Salice” del film Pocahontas (1995). Qui, secondo un credo al confine tra leggenda e religione di certe popolazioni degli indigeni d’America, l’albero ha un’anima e dei poteri salvifici per l’umanità. Un topos ripreso dal colossal di James Cameron Avatar (2009). La scrittrice Marina Warner si era cimentata in un romanzo che assurge a sequel e rilettura de La Tempesta: in Indigo (questo il titolo del romanzo) la “strega” Sycorax diventava una creatura del tutto benefica, ed esperta di cure mediche basate sulla vegetazione: sulla corteccia degli alberi, esattamente come il personaggio di Pocahontas.
Infine, si sfrutta il nome dell’infido Iago di Otello, l’alfiere che trama, nell’opera di Shakespeare, per la destituzione del regnante Cassio. In Aladdin (Disney, 1992) “Iago” è il nome del pappagallo che vive appollaiato sulla spalla del “cattivo”: il gran visir Jafar.
L’opera disneyana è costellata di messaggi per i conoscitori dei classici della letteratura mondiale. Che siano riferimenti espliciti (riduzioni vere e proprie, come Il Gobbo di Notre Dame, tratto da Notre Dame de Paris di Victor Hugo), o che siano disegni in filigrana nelle complesse architetture dei suoi film d’animazione, il mondo di Walt Disney è un serbatoio che comunica a tutti i livelli, a tutti i background letterari e cinematografici. Un mondo semiologico da sondare, perla dopo perla, nelle viscere dischiuse di una suggestiva e musicale conchiglia per bambini.