La musica è finita… gli amici se ne vanno.
Cos’è una festa del cinema? La domanda, dopo questi ultimi dieci giorni a Roma, resta inesaudita. Una festa non è un festival, perché non c’è competizione tra i film – la rassegna, cioè è presentata ai fini della pura «degustazione» del cinema – e il red carpet è pressoché disabitato. Poco glamour, insomma, e tanta gioia per i cinefili, che hanno fatto una scorpacciata di film d’autore e hanno valorizzato, tra tutti, Land of mine, pellicola danese su una faccia ancora sconosciuta del secondo conflitto mondiale, diretta da Martin Zandvliet; ma anche Room, il thriller di Lenny Abrahamson basato sull’omonimo bestseller, e The Walk, l’omaggio trionfale alle Twin Towers che Robert Zemeckis ha diretto senza dimenticare una sola delle vertigini di cui è – notoriamente – capace. E sotto il cielo italiano? A parte i film di Sergio Rubini (che ha diretto la commedia Dobbiamo parlare) e di Claudio Cupellini (regista di Alaska, un sentimentale d’autore affidato al bravo Elio Germano), secondo noi, la «festa» è tutta di Gabriele Mainetti, pioniere del cinecomic italiano con Lo chiamavano Jeeg Robot.
L’auditorium ha scontentato, quest’anno, gli appassionati di passerelle e tappeti rossi che esondano tra la folla; in compenso, si è scaldato al passaggio di Monica Bellucci (che ha presentato il film Ville Marie) e delle star del web. Sì, perché quest’anno, alla mostra cinematografica di Roma, non è mancato un ammiccamento ai tempi moderni, ai nuovi media e alle nuove passioni dei teenager. Un esempio? Il film italiano Game Therapy, i cui protagonisti sono giovani youtuber cari alla folla di adolescenti che li ha acclamati.
E il resto? Nel nostro video, una piccola rassegna delle cose che abbiamo apprezzato di più.