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Primo piano di Veronica, dal sito http://www.veronicaabbate.it

Il mio post in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne arriva con un giorno di ritardo. È una riflessione viscerale e un ricordo profondamente personale, benché io, Veronica, la ragazza di cui ho deciso di parlare non l’abbia mai conosciuta. Né i suoi familiari.

Ma forse non è del tutto esatto sostenere di non averli mai conosciuti. Provate a guardare una clip, ad ascoltare un podcast (l’ultimo è di qualche giorno fa, sulla 27a Ora) in cui la signora Clementina Ianniello, o suo marito Lello Abbate, parlano di quella meravigliosa ragazza, freddata da un colpo alla nuca dal suo ex fidanzato. La loro figlia. La bellissima, meravigliosa Veronica. Vi sembrerà di conoscere la famiglia Abbate da sempre; nel loro delicato accento casertano, vi sembrerà di ritrovare un piccolo mondo di certezze e di incontenibile vitalità che nelle famiglie del Sud, nelle sane, antiche famiglie del Sud, scoppiettano amorosamente. Sono giovani, però, Clementina e Lello. E nonostante abbiano perso la loro secondogenita con modalità atroci, 9 anni fa, vivono ancora per lei. Clementina ha fondato un’iniziativa molto speciale (“la casa di Veri”): in una struttura confiscata alla Camorra, ospita donne vittime di violenze. E qui, tra queste mura ormai sicure e tra le aiuole del loro giardino, aiuta queste ragazze ad affidarsi di nuovo alla società, senza più il terrore di vivere che le violenze subite hanno inoculato in loro come un veleno.

Clementina ha una voce morbida e le spalle larghe, forti. È un ciclone di passionalità: così mi sembra, almeno, quando ho la fortuna di incrociarla in tv o nel web. È stata soprattutto lei a farmi appassionare alla storia della povera Veronica: il suo amore di madre nel quale sgorgavano i racconti di una ragazza dolcissima, forse un po’ insicura, nonostante quel corpo da sirena, quegli occhi verde-azzurri enormi che sembravano disegnati da una matita esperta. Bella, Veronica. Ma anche così intelligente che sarebbe arrivata ovunque avesse voluto (sognava di diventare un medico) se solo le fosse stato concesso più tempo di quei brevissimi e intensi 19 anni. Nel settembre 2006, invece, in una notte come tante, la sua vita è finita per mano di un ex fidanzato geloso, geloso dei nuovi orizzonti e della libertà di quella che probabilmente, per lui, era sempre stata poco più che un obbediente giocattolo. “Un giocattolo che non era più suo, e che quindi ha rotto”, diceva giustamente Lello, il padre di Veronica.

Perché Veronica, di quel fidanzato, Mario Beatrice, era sempre stata innamoratissima. Per quattro anni si era lasciata prendere e lasciare, riprendere e abbandonare di nuovo, scompigliando così quella serenità e quella gioia di vivere che – lo raccontano tutti – palpitavano fortissime in lei. Finché un giorno Veronica ha deciso di non tornare più indietro, di non rispondere più ai comandi e ai capricci di Mario. Sarebbe troppo lungo raccontare come il ragazzo abbia cercato di riconquistarla; perfino simulando incidenti d’auto e minacciando di suicidarsi, per convincerla a tornare con lui. Ma niente. Veronica era stanca e aveva voglia di crescere, di spiegare le ali e prendere il cielo. Di diventare una donna. Ed ecco perché, con la pistola di ordinanza (Mario era allievo della Scuola della Guardia di Finanza a L’Aquila), in una notte silenziosa di settembre, ha sparato a Veronica con una precisione fatale. 30’anni di carcere, poi ridotti in appello; addirittura, un paio di anni fa, il tg2 ha realizzato un servizio in cui, nel carcere in cui oggi Mario sconta la pena, intervistava proprio lui. Intento a “redimersi” dai suoi errori spadellando manicaretti in cucina e sognando la libertà di mettere su un agriturismo, una volta uscito di galera. Cose che ti mandano in tilt, che ti scoraggiano a credere nella giustizia – qualche volta, anche nei media, a dirla tutta – perché i sogni di Veronica, i suoi progetti, quelli non torneranno, quando Mario sarà uscito di galera. Veronica purtroppo non può più volere nulla.

“Non perdono nessuno” dice con vigore la madre, Clementina. E questa storia terribile, che sta per compiere dieci anni, mi spacca il cuore con una tenerezza dirompente, tutte le volte. Ma è altrettanto forte l’ammirazione per donne come Clementina. Guerriere contro la violenza mentale e fisica che insanguina e annienta donne meravigliose. Perché di queste donne, di queste donne insostituibili, in un futuro non troppo lontano e non troppo assurdo, si raccontino solo buone notizie…