Il mio servizio su Il Giornale di oggi: “Il cognato l’ammazza mentre fa jogging”
Simonetta Caminiti
Pubblicato il gennaio 29, 2016

Correva, come tutte le volte che poteva farlo, lungo le strade della sua Cetraro, un paese a 60 chilometri da Cosenza: ma qualcuno, qualcuno che quel suo appuntamento spensierato e immancabile con lo jogging lo conosceva bene, ha messo a fine alla sua corsa. E le ha tolto la vita. Anna Giordanelli, 53 anni, è stata ritrovata a testa in giù, tra l’asfalto e il marciapiede di una strada isolata a ridosso del mare, nel pomeriggio di mercoledì. Era un medico di base conosciuto e circondato da affetto, una donna di bell’aspetto e, come pazienti e colleghi ricordano, di un proverbiale riserbo.
La posizione del corpo aveva fatto pensare a un malore; poi, a causa dei segni vistosi di una frenata sulla strada, all’impatto mortale con un’automobile. Colpita a morte, invece, alla testa, e con una spranga: è la verità che l’arma del delitto, un piede di porco ancora insanguinato e coi capelli della vittima incollati, ha raccontato dal fondo di una scarpata. Un’arma che parla di una ferocia quasi certamente maschile ma che, fino alle prime ore del pomeriggio, non sarà affiancata a un movente. «Non escluderemo nessuna ipotesi» aveva sentenziato il procuratore di Paola Bruno Giordano, che coordina le indagini. Ma il cerchio si è stretto in fretta: e si è stretto intorno alla famiglia della povera Anna. E i dubbi si sono concentrati soprattutto sul cognato di Anna, l’infermiere Paolo Di Profio, che con lei pensava di avere un conto in sospeso, ovvero le attribuiva la responsabilità della separazione da sua moglie, sorella della dottoressa uccisa. Di Profio è crollato durante l’interrogatorio nel pomeriggio e ha confessato: la vittima, sua cognata, difatti, sarebbe stata colpevole di aver offerto ospitalità a sua moglie nel pieno della loro crisi coniugale. Di Profio avrebbe accostato la macchina accanto alla cognata, che correva, poi forse una discussione, o forse, immediatamente, l’aggressione.
Indiscrezioni dipingono l’uomo (che pure appartiene a una famiglia semplice e benvoluta) come una persona complessa, affetta da problemi psichici, e inoltre, addirittura, già nota alle forze dell’ordine. In un contesto piagato dalla criminalità organizzata, tanto da fare di Cetraro un luogo così sensibile al termine «omicidio», che perfino di fronte all’evidenza, per le strade, ieri c’era chi non voleva sentirne parlare, e avanzava, a labbra strette, il dubbio che omicidio non fosse. Note stonate e isolate, nel coro di chi Anna Giordanelli la ricorda con commozione, ma anche carico di rabbia per chi le ha spezzato la vita con tanta violenza e prematurità: ex pazienti, colleghi medici e infermieri.
Una vocazione di famiglia, la vita da medici: il padre di Anna l’aveva preceduta, nella professione, mietendo altrettanta benevolenza, gratitudine, affetto nel nucleo di Cetraro. Anche le sorelle (una delle quali è morta) godevano nella cittadina di rispetto e simpatie; geologo, invece, il marito di Anna, e studente universitario uno dei loro due figli. Un bel viso, che somiglia al suo profondo Sud nell’incarnato scuro, negli occhi neri intensi, nei capelli bruni fin sulle spalle: Anna curava, evidentemente, anima e corpo, e correre in libertà per le strade a strapiombo sul suo mare non era mai stato un pericolo. Ma anche dopo la confessione di Di Profio, restano nodi da sciogliere e dubbi da appianare: «In ogni caso – chiosa il procuratore Bruno Giordano – dobbiamo ancora indagare per bene nei retroscena della vicenda».