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«Tutte le famiglie felici sono felici in modo uguale» c’istruiva Tolstoj al principio di Anna Karenina, «ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». E se invece delle famiglie si provasse a immaginare in che modo è felice un Paese intero? Perché è più soddisfatto degli altri, quali si presumono essere le caratteristiche strappa-sorriso che abitano le sue case?

C’è chi lo ha fatto, e ha stilato una corposa e commentata classifica (156 Paesi): il World Happiness Report 2016 (Rapporto sulla felicità nel mondo), a cura del Sustainable Development Solutions Network (Sdsn), organismo dell’Onu . Il Paese che più brilla nei sei parametri su cui è tarata la classifica è la Danimarca, che si piazza al primo di 156 posti. I fattori su cui si basa il «report»? Il Pil pro capite, l’aspettativa di vita in buone condizioni di salute, la mancanza di corruzione nella leadership, il sostegno sociale, la libertà nelle scelte di vita, e infine la cultura della generosità. «Ormai c’è una crescente richiesta, a livello mondiale, perché  la politica sia più strettamente allineata con ciò che conta davvero per le persone: con ciò che loro stesse identificano come fattori di benessere», ha commentato l’economista Jeffrey Sachs quando il rapporto del 2016 ha visto la luce.

E l’Italia che posizione occupa? La cinquantesima. Il dato curioso è che però il nostro Paese è tra i dieci con il maggior calo di felicità nel periodo in esame (dal 2013 al 2015). Una curva discendente nella quale svettiamo, perché, evidentemente, i sei parametri che fanno di un Paese un posto felice hanno vissuto una decrescita in casa nostra, negli ultimi tre anni: una curva in cui ci fanno compagnia la Grecia e la Spagna. Tris che fa parte dei quattro Paesi più in crisi nell’Eurozona.

Seguono la Danimarca nella rosa dei Paesi più sorridenti, secondo questa classifica, Svizzera, Islanda e Norvegia; e ancora, Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. Al tredicesimo posto gli Stati Uniti, che balzano in alto di due posizioni rispetto al rapporto precedente. Tale sarebbe la percezione della propria felicità soggettiva che – si legge nella presentazione del rapporto – sempre più governi restano in ascolto di queste voci al fine di migliorare se stessi e il Paese che amministrano.

«Chi punta solo sul Pil rischia di avere brutte sorprese», sostiene Leonardo Becchetti, del CEIS Tor Vergata. «Il Pil non basta a misurare il benessere e le recenti elezioni irlandesi, in cui il governo è stato sonoramente sconfitto nonostante una crescita sulla carta del 7%, lo dimostrano chiaramente. La felicità (soddisfazione di vita) è una misura sintetica molto importante a cui la politica e i media dovrebbero fare particolare attenzione perché in grado di catturare tutti i fattori che incidono sulla soddisfazione dei cittadini».

Il Paese di Kirkegaard – che di certo non è passato alla storia del pensiero per la sua professione d’allegria – sarebbe quello in cui l’efficienza della politica incrocia anche i fattori più personali del benessere dei cittadini. Niente a che vedere con le atmosfere lugubri e sofferte dei monologhi dell’Amleto (notoriamente, il Principe di Danimarca), né con lo sguardo meditabondo e nostalgico della Sirenetta di Copenaghen. E Paesi come la Svezia e la Norvegia non hanno mai popolato l’immaginario comune per i loro sorrisi. Sorprese. Quasi torna in mente una battuta del serial di culto Ally McBeal: «Conosci qualcuno più felice di me?» intonava la protagonista in direzione di un collega.

«Lo conoscevo» rispondeva lui. «Ma si è suicidato».

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