Sul blog di Tiziana Fraterrigo “Blogger distinto” si parla del mio blog su Linkiesta “Senza quote rosa”. Bando alla retorica, in questa intervista che Tiziana ha voluto realizzare dopo aver scoperto questo mio lavoro sulla testata online di Milano, ho cercato di spiegare il mio mondo così diversamente femminista… Oltre ad aver scoperto di avere una lettrice d’eccezione (Tiziana, appunto), un medico impegnato nella promozione dell’arte e un’artista vivace e raffinatissima a sua volta.

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Cosa sono il pregiudizio, lo stereotipo e la discriminazione? Perché se ne parla sempre al femminile?
Tutto parte dallo stereotipo, direi. Che, a mia opinione, in fondo, non riguarda affatto solo le donne. Lo stereotipo, il luogo comune incagliato nella psicologia culturale di generazioni (e le generazioni più giovani ahinoi non si salvano dai vecchi retaggi) ingenera sia il pregiudizio che la discriminazione. Le donne sono un bersaglio sensibile e frequente di tutto questo perché liberarsi di ruoli millenari non è così semplice. Parte della tendenza a bollarci come “il sesso debole” deriva, naturalmente, da caratteristiche sessuologiche che credo ci appartengano davvero: almeno a una buona fetta dell’emisfero femminile. Nella tragedia di Euripide, Giasone rimproverava a Medea il fatto che le donne sono pur abili in molte cose, ma, toccate (ferite) nell’amore, tendono a farne un un’ossessione molto più che gli uomini. Io penso che questo sia un dato ancestrale ed eterno della donna, e basta seguire tanti episodi (incluso il finale) di Sex & the City per realizzare che in fondo essere rappresentate ancora così non ci addolora più di tanto. Non ci tradisce. Detto questo, il parossismo delle caratteristiche del “sesso debole” è qualcosa che all’uomo calza ancora comodo come un guanto. Nel lavoro, nelle relazioni affettive, nella società. Riconoscerne appieno la bellezza e andare oltre, ammettere quanto talento e quanta tenacia facciano parte delle nostre prerogative, ancora oggi scardinerebbe troppi sistemi.

Un esempio di stereotipo citato dall’uomo e dalla donna nei riguardi delle stesse donne.

Il primo che mi viene in mente, l’inaffidabilità: il nostro essere uterine per definizione. Umorali e in balia degli ormoni. Ebbene, personalmente conosco tanti di quegli uomini lunatici (anche in senso patologico) che mi piacerebbe ribaltare questo stereotipo e riscriverlo completamente.

Quote rosa? Anche no! Su Linkiesta curi un blog “senza quote rose”, ce ne parli?

Il titolo del blog mi è stato ispirato da un servizio che curai su Il Giornale, l’8 marzo 2013. Il mio capo titolò “Senza quote rosa” un pezzo affidato a me su sei storie di donne che nella vita hanno realizzato obiettivi impensabili, senza passare, appunto per le quote rosa e ciò che rappresentano. Una porzione di torta destinata a loro in quanto donne. In Italia, il discorso è molto complesso, però. Basti guardare le “quote femminili” ai vertici dei giornali (quelle che conosco meglio perché si tratta del mio lavoro). Sono tristemente poche. Io però non credo che la soluzione sia stabilire in partenza un numero di scrivanie, o poltrone o quant’altro, destinato ad alcune persone perché, in quanto donne, altrimenti sarebbero discriminate. Penso significhi rafforzare le “ragioni” (tra molte virgolette, ovviamente) della discriminazione stessa. Quanto al mio blog, è appunto uno sviluppo di quel vecchio servizio che feci su Il Giornale. Quante strade meravigliose possono percorrere le donne? Quante donne speciali ci sono in Italia “senza quote rosa”? Lo spirito di questa “rubrica” su Linkiesta è proprio questo.

 Sei femminista? Pensi che serva ancora esserlo?

Io femminista? Mi fa decisamente sorridere. No, non sono femminista e contesto il concetto per cui una donna dovrebbe empatizzare e solidarizzare con un’altra donna, all’interno di un dibattito, per una compatibilità intersessuale o qualcosa del genere. Detto questo, non nego affatto che la fatica di molte donne per imporsi in un settore continua ad essere tanta e che, ancora oggi, l’importanza dell’appeal estetico, quando si tratta di donne, tenda a prevaricare quella della sua storia, dei suoi talenti, della sua preparazione. Soprattutto in ambito mediatico: l’appeal, quindi la potenzialità della seduzione, resta una specie di biglietto da visita ancora troppo importante rispetto a quanto succede in ambito maschile. Se in qualcosa sono “femminista”, forse è il fastidio verso questo (più che persistente) dato di fatto. (Il che non esclude che la cura del proprio look possa essere una forma d’amor proprio e di piacere personale che ciascuno di noi ha tutto il diritto di nutrire e coccolare. Ma è un discorso diverso).

 Molestie- sessimo- violenza. Sensibilizzare gli uomini come?

Continuo a guardare la questione da un punto di vista giornalistico e dunque, del racconto e delle enormi potenzialità che i messaggi mediatici possono avere. Sensibilizzare gli uomini a questo dramma, io credo, potrebbe significare affidare a giornalisti uomini tanti approfondimenti sul tema. Il che sta cominciando a succedere. E credo stia succedendo da quando il tema della violenza domestica ha ceduto il passo, nelle prime pagine dei giornali, a quello degli abusi maschili in sistemi più esposti (come il mondo del cinema): centri di potere planetari, emblematici, dai quali parte una possibile rivoluzione.

Cos’altro dovrebbero fare le donne per autodeterminarsi?

Intanto, non vestire i panni degli uomini a tutti i costi. Prendere atto della possibilità che quegli aspetti del “sesso debole”, cui facevo riferimento prima, fanno di noi, in fondo, “il sesso forte”. Gestire quell’emotività che abbiamo in dotazione in modo da farne un talento, perché no; non vivere, per esempio, la scelta di non diventare madri come un torto sociale. Solidarizzare con le ragioni degli uomini e delle donne per i contenuti, appunto, per quelle “ragioni”, e non per il sesso di chi le propone. Reinventare quello stereotipo che ci ha fatto tanto male con autoironia intelligente.

(tutto il testo è qui:

https://bloggerperungiorno.wordpress.com/2017/11/19/in-genere-donne-e-uomini/ )