Lo scorso 19 aprile, la giovane e bella Sana Cheema (famiglia pakistana, 25 anni) sarebbe dovuta rientrare a Brescia, dov’era cresciuta. Naturalizzata italiana, e innamorata di un uomo italiano, si era trattenuta per tre mesi nel Paese d’origine – pare – per star vicino alla sorella che aveva appena partorito. Sana ha invece trovato la morte: e l’ipotesi a cui stanno lavorando le autorità del Punjab, sollecitate dalla Farnesina, è che sia stata uccisa dal padre e dal fratello perché si era ribellata a un matrimonio combinato.
“Quando ascolto storie di questo tipo mi si gela il sangue. Possibile che questo succeda ancora, e per giunta in Italia? E possibile che accadano senza avvisaglie? Io credo che, quando il contesto familiare comincia a far squillare qualche campanello d’allarme, in questo Paese ci siano possibilità e strumenti per prevenire l’irreparabile: sportelli a cui rivolgersi, supporti che si possono e si devono cercare”. Parla Amani El Nasif, 28 anni, cittadina italiana solo dal giugno 2016 eppure nata e cresciuta a Bassano del Grappa. Eccettuato un lungo, indimenticabile anno della sua vita trascorso in Siria, nella periferia di Aleppo: per ragioni che, se la pista attualmente battuta dagli inquirenti per la storia di Sana si rivelasse esatta, molto somiglierebbero alla tragedia della ragazza di Brescia.
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