Di Andersen, apprezzatissimo “favoliere”, non venne colta appieno l’eleganza nel prendere di mira una tipologia umana specifica e diffusa. Si veda il principe de La sirenetta: la protagonista gli ha salvato la vita e, per raggiungerlo, tra gli umani, ha rinunciato alla sua voce sublime e perde sangue dai piedi a ogni passo; ma lui, che pure la guarda ogni giorno negli occhi, se non può udire quell’ammaliante canto che lo aveva rapito (rimpicciolendolo alla stregua di un marinaio qualsiasi) neppure la riconosce. E ne Il guardiano dei porci, una principessa vezzosa è così assuefatta alle cose magnifiche, alte, di caratura regale, che preferirebbe vivere in una stalla per godere del fetore e delle stravaganti invenzioni di un cavalier servente innamorato di lei (arriva quasi a prostituirsi per questo), piuttosto che vivere nella bellezza. La bellezza – in Andersen – può essere la condanna all’infelicità di chi non la merita.

[Dal mio servizio in edicola su ‘O Magazine. 4 pagine dedicate alla incredibile storia (vera) di Hans Christian Andersen]

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