“La Brenda di Papà”… e perché partono sempre i festival della nostalgia
Simonetta Caminiti
Pubblicato il marzo 5, 2019

Secondo qualcuno stiamo esagerando un po’, col festival della nostalgia inaugurato, tristemente, dalla scomparsa di Luke Perry e Keith Flint. Il problema dei “festival della nostalgia”, al momento delle dipartite improvvise di qualche grande icona, sta in tre dati di fatto immanenti: a) la morte getta un larghissimo fiotto di luce sulla memoria, e quasi sempre illumina tutto il bello di una società che è sparita; b) da sempre e per sempre, l’Uomo rimpiangerà il bello (e il brutto) delle società spazzate via dal tempo; c) ciascuno di noi ha un fazzoletto di ricordi personali, scintillanti e unici, a tergere le lacrime per l’improvvisa scomparsa di una icona pop.
Dylan McKay di Beverly Hills 90210. Il Luke Perry di un serial in sé e per sé scritto e recitato male, che però ci inchiodava, noi bambini e adolescenti dei primi anni ’90, atteso, puntata dopo puntata, come l’epifania di qualche divinità. Un piccolo olimpo popolato da cliché: il bello e tenebroso dal cuore dolce (proprio Dylan), la reginetta del liceo bionda e pallida, divisa tra la facile strada del divismo spietato e la voglia di essere una semplice, brava ragazza, come la sua migliore amica; la sua migliore amica, “una semplice, brava ragazza” attratta dal “fuoco” del succitato “bello e maledetto” e alla perenne ricerca di sé; e poi il suo fratello gemello, aspirante giornalista, idealista incorruttibile. La famigliola di provincia che si adatta a Los Angeles fino a conquistarla con la bontà incontaminabile dei suoi valori. E tutta la cricca che segue, evolve, involve, diventa una saga. Coi suoi difetti macroscopici, era impossibile che Beverly Hills non catturasse l’anima a quella generazione di giovani. Anzitutto, era il primo vero teen drama (a parte Happy Days) apparso sugli schermi. Un boom che non aveva risparmiato copertine di tutte le riviste per le adolescenti, e i dibattiti dell’allora dilagantissimo Non è la Rai: “Voi siete del team Brenda o del team Kelly?”. Ecco. Questo, al di là di tutto, resterà sempre Beverly Hills, per la maggior parte dei quarantenni di oggi. Quelli che, al posto dello splendido (e un po’ stronzo…) Dylan, avrebbero scelto la bellona (complice con lui del tradimento di Brenda, in quanto, di Brenda, migliore amica); quelli che Brenda non l’avrebbero tradita mai. E naturalmente, le donne. Quelle che si proiettavano con facilità nel riflesso minuto e un po’ malfatto (sfigurava, in costume da bagno, l’attrice Shannen Doherty, al cospetto della più hollywodiana Kelly), eppure con un viso che “buca”, con due occhi che stanano, con una sensualità sfuggente e meno scontata, ma forse anche più intensa. Oppure quelle per le quali aveva fatto bene Kelly, nonostante tutto, a lasciarsi andare alla passione per Dylan: Dylan aveva scelto lei, punto e basta.
Io non sono una bionda naturale. Fino all’età di 3 anni avevo capelli color miele molto chiaro che hanno ceduto il passo, in fretta, a un manto di chioma castana: con la stessa frangetta di Brenda. Negli anni d’oro di Beverly Hills, però, ero una bambina di 9-10 anni paffuta che sognava la spiaggia di Malibu tra le sue Barbie, e a quel mondo già permeato dal sesso, dalle dipendenze, da questioni più grandi della propria fantasia, accedeva attraverso l’interpretariato dolce e paziente di una sorella maggiore. Mia sorella. Ad ogni modo, tutte e due eravamo innamorate di Dylan. Tutto il mondo era innamorato di Dylan. E il mio fazzoletto di ricordi, tanto per cambiare, riguarda il mio papà. Un papà che vedeva nella mia frangetta la “Brenda” che sarei diventata crescendo: “ti somiglia, somiglierai a lei, da adulta. La Brenda di papà”. Profezia toppata. Ho scelto per i miei capelli un biondo che a mio padre, tra l’altro sarebbe piaciuto moltissimo. Ma questo saranno sempre gli abbracci di Dylan e Brenda, nel mio cuore di bambina: il sogno di avere, al liceo, un fidanzato così passionale e imprevedibile, e… la frangetta: “la Brenda di papà”.