La più bella fanciulla che abbia mai visto, l’ho vista seduta sul pavimento nel ventre di Notre Dame. Non riuscivo a smettere di guardarla – io che assai più attenta sono agli uomini, certamente – perché essa era la Bellezza; una giovane coi capelli scuri e l’incarnato pallido, le sopracciglia spesse, gli occhi turchini, e splendide labbra serrate nell’espressione assorta di chi, su quel pavimento, sta lavorando. In effetti, era intenta a disegnare. Stava riproducendo su un foglio d’album uno dei rosoni nel cuore della cattedrale; quei rosoni che, agli occhi miei, richiamavano i colori delle passiflore, le luci dolcissime delle ametiste, e quelle icone sacre riposte tra i loro raggi, una dietro l’altra, e una dentro l’altra, come bamboline russe di imperscrutabile (e inconfondibile) Identità. Sul sagrato, un giovane violinista suonava le note di “Bella”, del musical “Notre Dame de Paris”: e in tanto amore struggente riprendevano fiato Quasimodo e Frollo. Specialmente Frollo, spaccato tra legge e giustizia, consumato dalla passione, e arso dalla crudeltà. A Notre Dame ti sfilavano davanti tutti i sentimenti del guazzabuglio che abbiamo nel cuore. La magia della letteratura, di artisti d’ogni tempo e taglia, ciascuno con la propria quota irripetibile di poesia. Notre Dame era un guscio dorato per i devoti; ed emozione sconvolgente per tutti. Era il “diritto d’asilo” illustrato da Victor Hugo: il diritto d’asilo degli assetati di Bellezza. La rivedranno, se siamo fortunati, i figli dei nostri figli (o nipoti). Nel frattempo, che dolore.
