La stagione delle vacanze si avvicina e ci sono luoghi… certo, non comodissimi da visitare, ma che è tanto bello conoscere. Il prossimo 20 aprile ricorrerà il 6° anniversario di questo mio reportage pubblicato da Il Giornale, grazie al quale (con riscontro felice) partecipai a un concorso giornalistico basato sugli scambi, i confronti e le relazioni internazionali…

DA MANTOVA A MANTUA… GEMELLA DIVERSA NELL’AZZURRO DI CUBA.
La strada è battuta dal sole, scura, asciutta. Un fiume immobile anche nel tempo, che non è riuscito a cambiarla. S’infila tra palazzi di un bianco abbagliante e palme anonime, ossute, ma che puntano al cielo. Qui il mese di aprile sembra già Ferragosto. In effetti c’è una chiesa – blindata, in questo mattino feriale, se non fosse che ai giornalisti curiosi, se chiedono con cortesia, un’occhiata è concessa – e dietro quella porta, il parroco è italiano. Si chiama Franco Falconi, ha sessantasei anni. Intorno a lui, Mantova. O meglio, “Mantua”. La Mantua di Cuba. Sul lato settentrionale di un fiume che porta il suo nome, tra i quattordici comuni di Pinar del Río, questo posto ha quattrocento anni: oggi si stende su 914 chilometri quadri, dei quali 15 sono isolette separate dal centro da poco oceano. Gli abitanti sono 27mila. Qualcuno ha ancora il cognome, deformato dallo spagnolo d’America, di quei marinai veneti e liguri che per primi misero piede qui. O di qualche emigrante meridionale, se si considera che i signori Pitaluga (quelli che abitano tra gli «Arroyos de Mantua») una volta magari si chiamavano «Pittalunga», come le focacce del Sud d’Italia.
Furono i reduci del brigantino Mantova (intorno al 1610), naufragato vicino a Cuba, a fondare la colonia. Resistente, sia pure piccola, alle asperità di un’isola disorganizzata e inondata da malattie. Storia più recente (cioè la fine dell’Ottocento) vuole la comunità italiana sballottata tra consolati di nazioni diverse, pessime gestioni dei suoi interessi, diritti quasi inesistenti. E il lavoro ridotto a qualche stagione dell’anno. Non era certo il Nord America, L’Avana: tra due guerre d’Indipendenza (a sostegno di Cuba, si arruolarono anche quegli italiani), ma comunque un porto per l’Italia disperata, espatriata e senza meta. L’emigrazione degli italiani, agli inizi del secolo scorso, i cubani la definirono «golondrina», cioè come quella delle rondini: a caccia della stagione giusta per braccianti, operai, commercianti più o meno raffazzonati. E oggi? Come i «super-batteri», mescolati con gli autoctoni ma consci di una identità che ha le radici oltreoceano, ci accolgono, ci guardano, ci rispondono. È una «terra di bravi signori e bellissime donne», suggerisce Cristina, habanera purosangue, interprete che vive lontano da quella comunità, ma che a Mantua ha parenti, persone che non vede dal 2005, perché il viaggio è tortuoso, i mezzi di trasporto scomodi, antiquati, rischiosi. Si domanda se siano vivi. Ha un caro amico, lo scrittore Enrique Pertierra, che sulla lunga storia di Mantua ha scritto un libro: Mantua en Cuba, entre la historia y la leyenda, un tomo dalla copertina usurata (è una copia personale dello scrittore, quella che ci viene mostrata), il disegno di un vascello e il sottotitolo in italiano. Enrique ha cinquantacinque anni, i capelli lunghi fino alle spalle di una spuma bianchissima, gli inseparabili occhiali scuri.
La famiglia Pitaluga, invece, vive e lavora con orgoglio nei suoi campi assolati, fecondissimi; si lascia intervistare con entusiasmo. «Il bello delle donne qui? – osserva la giovane Isenia Idelys – siamo persone semplici, di grande umiltà. Buone di animo». E a giudicare dallo sguardo fermo, da questa bellezza bruna e fustigata, è un’osservazione che ispira fiducia. «Mantua è un luogo stupendo per una donna – continua – però, certo, se si potesse fare qualcosa altrove… ». L’economia qui ruota attorno all’agricoltura: la percentuale urbanizzata del territorio arriva sì e no al 36,9%. Tabacco, legna e derivati (come la resina), prodotti ceduti alla spiaggia dall’oceano. Se si chiede a Isenia, che tanto ama la sua terra, perché in Italia se ne sappia poco e niente, fa spallucce sorridendo: «Beh. Perché è lontana. E la comunicazione è scarsa». Te la immagini Cuba in mano a una donna, Isenia? «Certo. Un giorno. Gli uomini non hanno niente che manchi a noi, e noi… noi siamo forti». «E preparate», aggiunge la signora Gardenia Pitaluga, decisa e fiera.
Noel Pitaluga Escandel è un ragazzo senza un capello sulla testa . «Mio nonno ci ha sempre detto che siamo per metà italiani», dice. Produce tabacco ma si sente un pittore. L’Italia attraverso i suoi occhi? «Un padre e una madre sconosciuti. Che si amano a prescindere». Nulla da aggiungere. La politica? Non sfiora la sua mente, o semplicemente non c’è verso che passi per la sua bocca. E siccome corre voce, a Cuba, che Roberto Benigni voglia istituire a L’Avana un’associazione intitolata a Dante Alighieri (sarà vero?), Noel dice di non avere dubbi: i cubani la ameranno. Ma le signore qui non conoscono Beatrice: adorano Rita Pavone.
Il parroco della chiesa Nuestra Señora de Nieves è di Verona. Sostituì un frate autoctono, infortunato per due mesi. Ci è tornato per altri nove. È nell’archivio della parrocchia – un diario di bordo – che si legge di questo «pueblecito simpático y pintoresco», di lavoratori instancabili, e segrete osservazioni personali sui suoi abitanti. È l’altra Mantova. Un’onda – ancora imperscrutabile agli storici – l’ha lasciata dall’altra del mondo per non restituircela. Gemella diversa nel sole dei Caraibi, col suo sorriso silenzioso e fuori dal tempo. Fortissimo.
“I MAGICI RACCONTI DEI NOSTRI NONNI”
Enrique Pertierra (classe 1958) ci racconta dei suoi studi su Mantua. Di un libro (Mantua, tra storia e leggenda) scritto perché «mio nonno Vincente sconvolgeva i miei sogni di bambino parlandomi di questa nave italiana affondata tra le baie de Los Colorados». Cosa c’era di magico in questi racconti? «L’idea di questo manipolo di italiani che mette in salvo un’immagine della Vergine delle Nevi, attorno alla quale, sulla terraferma, organizza un culto in una specie di capanna creata con rudimenti della terra». Dopodiché, quattrocento anni. Cosa c’è di “magico” oggi, in questa Mantua? «Il fatto che sconvolga i miei sogni tuttora. Coi suoi paesaggi incontaminati, il suo clima, la sua gente! I silenzi profondi delle notti e dei pomeriggi. Su questa terra meravigliosa la documentazione era scarsissima. Ho studiato e scritto il libro perché finalmente si sapesse qualcosa in più». Enrique Pertierra è nato e cresciuto a L’Avana con sua moglie e i suoi figli, nutre una forte fascinazione verso l’Italia, che non ha mai visto.
QUEL NAUFRAGIO ANCORA OSCURO
È ancora al centro di dibattiti tra gli intellettuali di Cuba, l’origine di questa comunità, nata e rimasta poverissima, che versa in condizioni di evidente degrado. Quasi certamente, l’imbarcazione affondata, i cui superstiti italiani fondarono la colonia di Mantua, era illegale. Forse una nave di guerra. I discendenti della colonia (sorta tra il 1605 e il 1610) furono affidati ad amministrazioni precarie, la peggiore delle quali – in mano al console portoghese Rodríguez Baz – spinse gli italiani a Cuba a redigere la prima petizione perché un connazionale assumesse il controllo della loro gente. Era il 1872 e la loro richiesta fu ignorata. Dieci anni dopo ottennero però l’Associazione Generale di Mutuo Soccorso, tuttora esistente. Il loro patrimonio sociale agli inizi del ‘900 era di 1.467 lire e 60 centesimi. Contenziosi diplomatici ed emigrazioni di operai italiani negli Stati Uniti vedono le condizioni di Mantua sempre più precarie. L’appoggio degli italiani alle insurrezioni anti-spagnole, ancora agli inizi del secolo scorso, volle addirittura la loro fucilazione.