Avevo svolto questo lavoro settimane fa.
Si tratta di un viaggio scritto (il tour che avevo annunciato) sui miei due libri dedicati a Diana, le cui promozione e vita continuano, ma non avrò il tempo di seguirle nelle prossime settimane. 5 su 7 tappe alle quali avevo lavorato e che, per appassionati e curiosi, lascio qui:
- I PRIMI AMORI. LA STORIA DI TUTTE LE STORIE: NEL 1999 E PER SEMPRE.
Ogni amore è il primo amore. Questa è un’ovvietà.
Penso che la parola chiave universale per definire il “Senza tempo” dei primi amori sia “sguardo”. Dai tempi di Dante (con la sua celebre donna-schermo) agli odierni “spionaggi” sui social. Il contatto visivo dell’eros che esplode per la prima volta.
La prima domanda che ci ponevamo durante le uscite (peraltro, io sono cresciuta in un borgo e in una cittadina simili alla Montedibbacco e alla Villagranata de “Il Bacio”) era: “Mi ha guardata lui? E… quanto a lungo?”. Spesso, era più importante che salutarsi, il dialogo muto degli occhi, che indovinavano nell’altra persona scenari introspettivi fantasiosi (anche proiettivi, generosi, depositari di qualità che probabilmente, nel bersaglio delle nostre attenzioni, non esistevano!). Gli psicoterapeuti americani hanno denominato “orbiting” l’attuale “mania” del corteggiamento sui social; somigliano proprio a quel passaggio degli adolescenti di allora al cospetto delle loro prede e mettere in scena risate che attirassero l’attenzione, negazione del “famoso” contatto visivo (se c’era stato qualche piccolo screzio), o – ripeto – esibizioni civettuole di ambo i sessi. L’agorà virtuale del primo amore ripropone le stesse, identiche condizioni dei primi amori di allora. Ma in un contesto più “triste”, quando poi non approda alla vita vera, al condividere “a tutto tondo” (coi cinque sensi di cui Madre Natura ci ha dotati) l’innamoramento. E questo vale per gli adolescenti quanto – se non di più – per gli adulti.
Il primo amore di Diana è particolare perché Filippo mette a nudo con crudeltà tutte le insicurezze e le paure di questa ragazza: ciò non è infrequente tra le persone molto giovani. Si vaccinano dalla cattiveria del mondo passando per quella di una bocca che sputa sentenze avvelenate dalla propria libido e dall’irrisolto (e contorto) che, fino ai vent’anni anagrafici, è pur comprensibile. Il conflitto accorcia le distanze più ancora di un passeggero colpo di fulmine. I primi amori per il bad-boy o la bad-girl che erano solo grandemente timidi, lo abbiamo conosciuto tutti. A tal proposito, suggerisco la visione di un film appena uscito. È una commedia italiana leggera, estiva e assolutamente “teen” ma che mi ha fatto sorridere tanto: su Netflix, Sotto il sole di Riccione, firmato da “Younuts!”.
- LILIA… UN ROMANZO NEL ROMANZO? CHI ERA DA GIOVANE?

Quello che sappiamo di Lilia nel romanzo affiora dal punto di vista (ammiratissimo) di Diana; ma anche da qualche episodio o battuta del personaggio stesso.
È la “Eleanor Rigby” che dà il titolo al primo capitolo, perché il suo stile di vita e i suoi occhi sognanti (il personaggio dei Beatles che “raccoglie il riso dal pavimento su cui sono appena state celebrate le nozze di qualcuno”) somigliano allo stato d’animo della protagonista. L’attesa della Vita. Però Diana specifica che questa “attesa” è il costume di vita che Lilia (quasi che, in realtà, non aspettasse più nulla) ha scelto consapevolmente, lucidamente e per sempre. E senza rassegnata malinconia. Lilia è la suora laica seduta sulla sponda di un fiume in corsa, e le meraviglie di un’acqua azzurra e guizzante se le gode senza più bagnarsi neanche i vestiti. Però forse (non sapremo mai se gli scabrosi racconti di Anais Nin li abbia letti davvero, o un ragazzino dell’oratorio glieli abbia infilati nella borsa per farle uno scherzo) ha un lato ancora curioso verso l’amore, e i suoi aspetti più passionali e inconfessabili.
Ho sempre immaginato una sorta di prequel de “Il Bacio” dedicato proprio a Lilia. Il suo nome significa “giglio”, è una creatura “liliale”, ma anche di mentalità aperta, uno spirito volitivo. “Hai avuto un solo amore” le dice Diana a un certo punto.
Lilia potrebbe essere nata nel 1939; un’infanzia vicina agli ambienti Vaticani, al riparo dalla Guerra, l’ha avvicinata al conforto dell’incenso e della vocazione. Era una fanciulla bellissima quando, nel 1960, scriveva la sua tesi di laurea alla facoltà di filosofia. Innamorata. Follemente innamorata di un giovane professore. Studentessa del primo banco, la treccia castana e morbida sulle camicette di cotone rosa, lo ascoltava sapendo bene di essere riamata. Pochi anni di differenza la separavano da questo misterioso “Lui”, suadente e coltissimo. Ne siamo certi: le aveva promesso di sposarla non appena si fosse laureata. E invece no: un dottorato in Francia e… dopo un paio d’anni l’Innamorato torna promesso sposo di Michelle, collega della sua età, e filosofa più affermata di lui che diventerà famosa nel clima sessantottino.
Lilia torna al conforto dell’incenso, ma senza prendere i voti. Nella sua bella casa trasteverina, (il “non-luogo” con le mura cinte e protette da aggrovigliati rampicanti) è una principessa nel suo castello che invecchia all’ombra di Padre Matteo. Sarà innamorata di lui, adesso? Non è escluso, visto che sbriga le faccende della parrocchia con tanto zelo e gli rimprovera la pigrizia con sottile amarezza. Nulla è escluso nel mondo fuori dal tempo di una ragazza bellissima che ha tagliato la treccia splendente, non ha neanche più tinto i capelli, ma si tiene in vita educando i ragazzi alla bellezza, all’eleganza, alla Fede, alla speranza e, perché no, ai rischi della vita nei quali invita proprio Diana a tuffarsi senza paura. È l’opposto di sua sorella Miranda come Diana è l’opposto di Khady. Chissà, questa Verginità stipata come un antico tesoro potrebbe avere lo stesso oscuro scantinato della giovane protagonista de “Il Bacio”.
Lilia muore in pochi secondi, con un ventaglio in mano. È davvero la Eleanor Rigby dei Beatles: sconosciuta, ma indimenticabile.
- DIANA. DIANA, DIANA, DIANA…
“E tu sei… una ragazza solitaria”, le dice Filippo prima di ferirla a morte.
Nessuno quanto “l’anima solitaria” di una diciassettenne desidera “un palcoscenico qualsiasi, in cui siamo diventate donne” (sono proprio le parole di Diana: il contesto è la parrocchia del quartiere, dove la sorella Khady canta con voce melodiosa, e Diana coordina le iniziative dell’oratorio e scrive testi teatrali). Solitario e “solipsistico” è il suo piccolo mondo tra le mura della grande Roma, come nel castello dorato di Montedibbacco, paesino in cui la famiglia materna e la nonna sono vere celebrità. Insicura, si ritiene una specie di ombra insulsa della sorella adottiva; ha difese immunitarie legate a un narcisismo così inconfessabile e potente da non innamorarsi mai, se non è convinta di essere corrisposta. Tranne che in un caso. Quando perde la testa per il più “cattivo” di tutti: Filippo, che non è né particolarmente avvenente né di personalità trascinante come suo fratello. In lui si rispecchia, tutto sommato. In lui coglie una ferita profonda che somiglia alla parte di se stessa in cui è abituata a crogiolarsi. Ma forse, senza accorgersene, capta anche la passione per lei di questo bizzarro ragazzo che ha un modo tutto contorto e immaturo di osservarla, attirare la sua attenzione, spiazzarla e sorprenderla sempre.
Facendo la pace con lui, accettando di amare lui, Diana si riconcilia anche con tutte le cose che in lei sono “spezzate”: esce dalla bolla ovattata in cui è solita confidarsi solo con Lilia, suora laica che considera una madre, e con un compagno di scuola avvezzo ai costumi metropolitani e profondamente rispettoso della sua sensibilità. Non ci sarebbe Diana senza Khady, non in questi termini. La sorella ingombrante, la Esmeralda che tratta la vita come se ce l’avesse già in tasca, che non fa pesare su nessuno i suoi traumi e i suoi dolori, e anzi li ribalta in punti di forza e ragioni di fascino.
Il percorso di crescita e liberazione di Diana passa per i sentieri, per i solchi tracciati da Khady: incluso l’amore per Filippo.
- L’INFLUENZA E L’IMPORTANZA DEL CINEMA

Sanroise Ronan (qualche anno fa)
Il mio romanzo deve quasi tutto alle folate di vento che provengono dal cinema.
È stato un film a generare la “stilla” della storia, uno dei suoi primissimi personaggi: Khady. E il film era Love Actually, commedia romantica d’Autore nella scena in cui la giovanissima Olivia Olson, afroamericana in un contesto tutto “British”, intona con voce da sirena “All I want for Christmas is you”.
L’ho immaginata più grande, ho pensato a un’esotica e bellissima ventenne di etnia analoga che è così potente e magnetica, nell’Italia degli anni Novanta, da rendere ancora più fragile e “accartocciata in se stessa” una sorella minore che racconta tutta la storia. Nel romanzo sono citati svariati film: uno è proprio del 1999, contesto storico del mio libro, e si tratta di Shakespeare in love.

Succede quando Diana, per partecipare a un concorso di narrativa erotica, ha bisogno di celarsi dietro le spoglie di un soggetto di sesso maschile e maggiorenne, così come il personaggio di Gwyneth Paltrow, in quella magnifica pellicola, era costretto a camuffarsi da uomo.
I volti dei miei personaggi in un film? In molti mi hanno chiesto a quali attori italiani io pensi se sogno un lungometraggio ispirato a “Il Bacio”. La verità è che non ce ne sono. Nella versione a fumetti, gli studi dei personaggi sono avvenuti sulla base di attrici e cantanti anglosassoni come Alison Lohman (per Diana, poi molto mutata in corso d’opera), Alicia Keys (Khady), e un attore del tutto sconosciuto in Italia per Filippo da giovane (tale Danny Fisher) e poi, molto vagamente, un cantante francese di nome Florian (fa parte di un duo conosciuto come “Fréro Delavega”).

Danny Fisher

Alison Lohman
Nel romanzo, per Diana non ho avuto in mente alcun volto finché non ho visto, molto più tardi della conclusione del romanzo, Sanroise Ronan a vent’anni: è identica a come la protagonista, in prosa, descrive se stessa; e Leona Lewis, cantante inglese, pelle scura e occhi verde smeraldo, che era stata intervistata da una rivista per la quale lavoravo nel 2009, è spiccicata a Khady. Per il resto, davvero non saprei. So solo che il film de “Il Bacio” sarebbe pieno di musica, a cominciare dai Beatles, e che c’è un capitolo del graphic novel (“Diana, 1999”) che invece nel romanzo non c’è (mi riferisco alla festa in piscina), ma che nel film sarebbe molto funzionale. C’è poi una differenza sostanziale tra romanzo in prosa e versione a fumetti, una vera svolta che, se fosse stata presente nel romanzo puro, non avrebbe avuto coerenza col titolo “Il bacio”: ebbene, quella specifica svolta, secondo me, nel film non starebbe bene. La sceneggiatura del film dovrebbe basarsi più su “Il Bacio” che sulla sua riduzione a fumetti.
- LE EMOZIONI DOMINANTI E IL MIO PERSONAGGIO PREFERITO
A volte, nel rileggere questo mio primo romanzo, lo intercetto io stessa come un “guscio duro” ma gravido di emozioni: un vero e proprio “utero” materno, ma nel contempo blindato, quasi le pareti fossero fatte di piombo. Perché così è l’io narrante, Diana. La paura di “non esserci” di fronte agli altri, che lei stessa ha già fatto certezza; un trauma di natura sessuale che la sua coscienza ha abortito per proteggerla (ma torna a galla al momento opportuno, quando il Coraggio per affrontarlo le viene dato proprio dalla prepotenza del desiderio sessuale); l’ambivalenza nel rapporto con la sorella maggiore; l’altra ambivalenza, ancora più forte, verso la madre. Infine, il primo disarmante amore della vita.
E la rabbia. La rabbia è un “affetto” importante, qui, perché sempre al confine con la tenerezza. Si può dire che Filippo stesso sia una “grande bocca”, ne “Il bacio”. È la bocca “baciante” per eccellenza, ma anche la bocca di tante cattiverie. Se non si trattasse di sporchi e bassi pettegolezzi, ci toccherebbe riconoscere che Filippo è la bocca della Verità, o che almeno ne assolve la funzione perché “sputa” fiele e gocciola miele, mette a nudo ciò da cui Diana non può più scappare. I suoi ricordi, i suoi sentimenti, le contraddizioni troppo dolorose della sua storia e dei suoi rapporti. Essendo come Diana, Filippo, la mette allo specchio. Diana accetta se stessa e ama intensamente lui.
E le emozioni di Khady, apparentemente così dissimili da quelle della protagonista, hanno la stessa prepotenza e lo stesso guscio. Anche lo stesso contenuto “amniotico” perché riguardano il non detto riguardo alla sua vera madre, morta in Senegal e con la quale non aveva mai interrotto i contatti. Anche Khady, come Diana, ama un ragazzo (Mino) non per quello che rappresenta, ma per la genuinità e la sincerità del suo essere. Intuiamo che Mino è un adulto forte e coraggioso come lei. Queste, a mio vedere, le emozioni che abitano in senso più importante tutto il romanzo.

Io avrò sempre una cotta per Filippo. Il mio primo amore è stato un giovanotto simile a lui, e anche altri uomini che sono stati importanti della mia vita avevano la sua… “capacità di sorprendere, spiazzare, con quella quota di deprecabile e arrabbiatissima sincerità”.
È un creativo, un ragazzo ferito e sfuggente, imperscrutabile, impulsivo, folle, infinitamente passionale. Capace di tutto e del contrario di tutto. Ma, proprio perché queste cose le ha vissute pienamente fino ai 22 anni, mi domando che genere di uomo sia diventato, e mi dico che alla fine è maturato e la sua vita lo ha portato verso comportamenti sani, migliori, più concilianti verso il mondo.
Era capace di fare del male, ma anche di carezze all’anima intense come niente e nessuno: penso che vent’anni di esperienza del reale abbiano affinato questo secondo, più importante e travolgente lato di lui. Peraltro, suo fratello è scomparso prematuramente e penso che questo dolore lo abbia educato a entrare più in empatia con la sensibilità degli altri rispetto a quando, giovane, senza padre né madre, aveva il mondo sulle spalle e non lo diceva a nessuno.
Filippo quarantenne è l’uomo dei miei sogni, confesso. Gli ho concesso di sfogare il peggio di sé nella stagione della vita in cui ciò era perdonabile. Perché diventasse qualcuno in grado di amare davvero nella stagione in cui l’amore non è l’infatuazione (un po’ animalesca) di un ragazzino, ma un momento in cui il rispetto e la protezione dell’altro sono le cose più importanti.