«Io non credo» dicevo ancora «che Khady avesse mai considerato quella persona tanto di più che la sua
provenienza. Non avevamo una grande opinione di lei, in casa mia. È solo che Khady è troppo dolce per negare una
risposta a chiunque.» Forse, mi racconto adesso, non ero convinta di tutti i singoli concetti, ma solo del senso generale. Il fatto che mia sorella avesse assunto distanze che ancora non sapevo se definire disumane, o piuttosto, comprensibili:
questo era il senso generale. E posso dire che questo nodo non si sarebbe sciolto mai.
«Secondo me sta sopravvivendo ed espiando a modo suo» disse la mia amica. «Non ha detto niente a nessuno proprio per
evitare di dover simulare cose che non sente, poveretta. Si vergogna della sua forza, ha paura di dover affrontare un
polverone più grosso del… Oh, be’, non voglio dire più grosso della disgrazia, ma…» E poi aggiunse: «In ogni caso
era sempre sua madre. Io non penso sia rimasta così illesa come sembra».
[…]
Ed era esatto, mi comportavo come con altre persone che conoscevo e che avevano subito dei lutti: come se fosse stato, in fondo, un lutto familiare pari a qualunque altro. Del resto, ci sono cose di cui non si osa domandare neppure agli intimi.
Ogni volta che mi rendevo conto di non sapere che pesci pigliare; ogni volta che mi sentivo al cospetto di Khady come
mi sarei sentita nei riguardi di chiunque al posto suo, mi sentivo colpevole. A parole ripetevo: È del tutto normale. Ma
non era mai quello che sentivo.
(Così nel mio romanzo Il Bacio – Words Edizioni -, parla Diana. E così nel fumetto, Diana, 1999 – La Ruota Edizioni – più o meno nelle stesse scene..)
